“Hamletas? La nostra scommessa tutta al femminile”
Un progetto nato per scommessa. E’ questo quello che emerge dalle parole di Sarah Biacchi, regista dello spettacolo “Hamletas” in scena al Teatro Eliseo Off dal 16 al 28 ottobre. Una compagnia tutta al femminile in cui le attrici protagoniste si trovano ad affrontare una sfida importante, quella di interpretare ruoli maschili. Un testo complesso quello dell’“Amleto” di Shakespeare che suggerisce riflessioni ponendoci dubbi sulla nostra essenza. Chi siamo veramente? Uomini o donne? Una domanda incerta a cui ci si può sottrarre solo indagando su ciò che è celato sotto le fisiche apparenze. Ne abbiamo parlato con la regista Sarah Biacchi e con una delle attrici protagoniste Galatea Ranzi che ci hanno accolto prima del debutto per raccontarci qualcosa in più di questo interessante progetto.
Sarah Biacchi
Ciao Sarah, ci racconti la genesi di questo progetto teatrale?
Circa due anni fa si è conclusa una ricerca che avevo messo in campo da diversi anni. Ero un po’ stanca di vedere questo squilibrio tra ruoli maschili e femminili in tutte le pièces teatrali classiche. Mi sono allora chiesta: perché non siamo ancora capaci di dare ad una donna la possibilità di avere la responsabilità di un ruolo protagonistico maschile? Ovviamente ci sono testi su cui questo discorso si può fare mentre su altri è più difficile. Ho pensato allora al testo che per me è il più importanti di tutti, cioè l’Amleto di Shakespeare e mi sono detta “proviamo a partire da qui”. Hamletas nasce da una scommessa.
Com’è avvenuta la scelta delle attrici?
Vedendole in scena. Quando vedi un attore sostenere un ruolo dall’inizio alla fine e ti rendi conto di tutte le sue corde puoi capire la sua utilità ai fini della tua messinscena. Per esempio vidi Francesca in “Elettra” a Siracusa e compresi subito che aveva quel tipo di energia. Galatea Ranzi aveva già interpretato la regina e stavolta ho voluto proporle una nuova versione. Con loro non ho mai parlato di provini ma abbiamo fatto un laboratorio insieme l’anno scorso. Questa unione si è evoluta ed è nato questo progetto.
Oltre ad un cast tutto al femminile, che cosa dello spettacolo viene percepito come innovativo e rivoluzionario? Possiamo riconoscervi uno stacco rispetto all’arte degli uomini, l’espressione di una sensibilità nuova, di un punto di vista alternativo, di uno sguardo differente sul mondo?
Cerco di usare questo esempio. Noi donne gli uomini li partoriamo perché abbiamo la possibilità di crescere sia donne che uomini. La nostra capacità gestazionale è insita nella natura perché non l’abbiamo scelta noi. Quando in una famiglia si perde una donna molto spesso crolla tutto. Le donne hanno la capacità di guardare di lato e di affiancare l’energia maschile perché le cose funzionino. Si tratta di recuperare la monodirezionalità maschile e metterle vicino quello che già noi facciamo naturalmente. Non è nulla di nuovo ma qualcosa di inesplorato.
Sei un’artista eclettica. Attrice, regista e anche musicista. Non ti chiedo quale di queste passioni prediligi perché credo che siano tutte sullo stesso piano. Qual è invece il comune denominatore di questi diversi linguaggi?
Innanzitutto ti ringrazio per la bellissima domanda. In realtà, più vado avanti nel tempo e più queste cose in me si uniscono. Credo che la cifra comune stia nel lavoro sulla voce, sul respiro, sull’intenzione, sull’emissione, sull’appoggio e sull’energia. In due arti le raccolgo nel mio corpo in prima persona e in una di queste cerco di tirarle fuori da chi ho davanti a me. Si tratta di andare a lavorare sulla verità, sul cercare di non imitare un tempo musicale. Quando ci sorprendiamo di ciò che diciamo ci emozioniamo e il pubblico a sua volta perché fa empatia con le nostre sensazioni.
Se potessi svegliarti domani con una nuova dote, quale sceglieresti?
Mi piacerebbe ballare veramente bene. Non è mai stato il mio forte perché ho lavorato molto sulla voce e poco sul corpo. Nessuno sa però che quest’anno mi sono messa alla prova e il 9 marzo debutterò in uno spettacolo in cui ballo. Quindi, mi piacerebbe aver fatto il lavoro che già mi aspetta (ride). Non so perché l’ho fatto ma volevo scontrarmi con un mio limite.
A quali altri progetti ti stai dedicando?
Oltre ad “Hamletas”, dal 9 marzo debutterò a Treviglio nello spettacolo “Night in Hollywood” in cui ripercorrerò tutte le scene dei grandi film delle dive hollywoodiane con i numeri di ballo e di canto di Marylin Monroe, Whitney Houston e Evita. Il 18 ottobre poi reciterò nel “Lady Macbeth Show” che sarà ad aprile al Teatro Flaiano in cui unirò lirica e prosa nella figura di Lady Macbeth. E poi sto lavorando in un’opera lirica che andrà in scena all’estero nei prossimi mesi e quando sarà definita ne parleremo meglio.
Galatea Ranzi
Galatea, lei interpreta nello spettacolo Gertrude. Ci presenta il suo personaggio?
Gertrude è la madre di Amleto ed è un personaggio che Shakespeare lascia molto nell’ambiguità. Noi non sappiamo cosa lei pensi delle situazione ossia del colpo di stato che è stato messo in atto da Re Claudio e non conosciamo il suo livello di complicità nel delitto del vecchio Re Amleto, suo marito. E’ un ruolo da first lady anche perché in questa versione indosserò abiti anni 50 considerando che la regista Sarah Biacchi ha fatto riferimento alla figura di Jacqueline Kennedy. In una scena con il figlio Amleto crolla rivelando la sua fragilità e la sua apprensione. Alla fine la Regina si uccide prima di vedere morire suo figlio.
Qual è la lezione più importante che le ha lasciato?
Le parole di Shakespeare sono sempre una lezione. Ascoltarle dalle quinte mentre le altre attrici sono in scena ti fa riflettere in continuazione. E’ qualcosa di completo e inesauribile.
Gran parte della sua carriera l’ha rivolta al teatro classico. Quali sono stati i lavori che ricorda piacevolmente?
Veramente tanti. Anche l’altro “Amleto” che avevo fatto al Teatro Stabile di Palermo con la regia di Pietro Carriglio in cui ho interpretato sempre Gertrude. Ho adorato fare anche “Ionesco” così come la commedia “Un’ora di tranquillità” con Massimo Ghini. Mi diverte fare le cose più disparate. Penso che per fare questo mestiere sia importante la versatilità di genere e di carattere.
Riprendendo un famoso verso di Shakespeare “Fragilità il tuo nome è donna” le chiedo: perché la donna dovrebbe essere fragile? Perché ragiona più con il cuore che con la testa?
Credo che la parola fragilità sia meravigliosa. Essere fragili vuol dire essere sensibili, essere con gli altri, essere vulnerabili. Chi non è fragile non si fa scalfire dagli altri. L’importante è che la fragilità non sia schiacciante con il rischio di tramutarsi in autolesionismo. E’ un valore da preservare e rispettare.
Riprendendo il famoso dubbio amletico “essere o non essere” e contestualizzandolo nell’epoca che stiamo vivendo, considerando anche l’influsso dei social, le chiedo: basta davvero apparire per essere?
No per niente. Se vogliamo banalizzare l’essere o non essere credo che postare fotografie in continuazione di tutto quello che succede sia indicativo di una paura di non esserci.
Altri progetti in vista?
Sto già facendo le prove di uno spettacolo che andrà in scena a novembre dal titolo “Le ultime lune” dell’autore contemporaneo Furio Bordon con Andrea Giordana.