“La vita è troppo breve per diventare un esperto dell’UE. Per questo servono i politici.”
Così Simon Kuper sul Financial Times del 10 gennaio. Aver affidato al popolo la scelta su un tema così complesso come la permanenza o meno del Regno Unito nell’UE è stato un grave errore. Un gravissimo errore. Le conseguenze si sono già viste nei trenta mesi trascorsi dal voto: spaccatura dell’elettorato in due campi avversi quasi uguali, fratture insanabili all’interno dei due principali partiti, peggioramento delle condizioni economiche, prospettive future nere o nerissime. E – non dimentichiamolo – l’assassinio di una deputata in campagna elettorale: Jo Cox. Nella patria della democrazia parlamentare e liberale.
Il peggio, però, deve ancora venire. Annichilito dalle lotte intestine, il Parlamento di Westminster ha rigettato a stragrande maggioranza l’accordo raggiunto faticosamente dal governo di Sua Maestà. Senza uno straccio di piano alternativo: non c’è una maggioranza né per rimanere nell’UE né per uscirne ad ogni costo senza alcun paracadute. Un secondo referendum che rimettesse nelle mani degli elettori la decisione finirebbe probabilmente per rinfocolare i contrasti e renderli irreversibili. Senza contare le ricadute negative per la stessa Unione nel momento in cui un Paese continuasse a farne parte quasi intrappolato per l’insipienza e l’irresponsabilità della sua classe politica.
Se il campanello d’allarme di Brexit ha in qualche modo costretto le istituzioni europee e gli Stati membri a far fronte comune, gli esiti paradossali di questa vicenda dovrebbero indurre ad una più profonda consapevolezza e a decisioni ben più coraggiose. L’Unione va troppo stretta a chi vuole ridurla ad una semplice area di libero scambio o poco più. Va invece troppo larga a chi ha l’ambizione di renderla un soggetto importante del nuovo equilibrio mondiale che si va faticosamente costruendo. In altri termini, una federazione: non solo con un inno, una bandiera, un mercato comune, una moneta, ma anche con una politica estera, un esercito, un bilancio adeguato, insomma con risorse umane e materiali per rispondere ai bisogni dei cittadini. E, soprattutto, una compiuta democrazia sovranazionale. Senza porte girevoli per entrare ed uscire.
Dalla Dichiarazione Schuman ad oggi il nodo non è mai stato sciolto. Una serie infinita di compromessi ha finito, di trattato in trattato, per rendere l’UE una costruzione indefinibile persino per gli esperti. Il nodo va tagliato costruendo un nucleo federale tra gli Stati disposti a questa scelta irreversibile e lasciando gli altri in un cerchio più ampio e meno impegnativo, a cominciare dallo stesso Regno Unito.
C’è una seconda lezione da trarre dal caso inglese, questa volta per l’Italia. I padri costituenti hanno saggiamente previsto nella nostra Costituzione che i trattati internazionali non siano mai sottoposti al voto popolare, insieme ad altre materie parimenti delicate. Purtroppo anche nel nostro Paese non mancano politici irresponsabili che vorrebbero eliminare quelle sagge barriere o abbassare il quorum dei referendum ammissibili o infine istituire nuovi tipi di consultazione popolare, nell’illusione che si possano decidere tutte le questioni attraverso la democrazia diretta, magari facendo ricorso alle nuove tecnologie informatiche. Ebbene, se la vita è troppo breve per diventare un esperto dell’UE, è ancora più breve per valutare tutte le conseguenze di un’uscita dall’Unione monetaria. Ed è troppo breve anche per diventare tutti epidemiologi, economisti, giureconsulti. Per questo servono politici che non rinuncino alle loro responsabilità.
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