Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro ha stimato un aumento diretto del costo del lavoro di 5,5 miliardi di euro. 4 milioni i lavoratori ai quali adeguare la retribuzione
L’introduzione di un salario minimo orario di 9 euro lordi per tutti i lavoratori comporterebbe un aumento medio del costo del lavoro non inferiore al 20%.
Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro evidenzia, in una stima, le criticità di questa proposta di legge e i costi diretti e indiretti per le aziende.
Infatti, ai quasi 3 milioni di lavoratori del settore privato (2.940.762), stimati dall’ ISTAT e presentati durante l’audizione alla Commissione Lavoro del Senato, vanno aggiunti i lavoratori del settore domestico (864 mila) ed una parte di quelli del settore agricolo (350 mila), che già percepiscono un salario orario inferiore a 9 euro.
Sarebbero, quindi, 4 milioni i lavoratori ai quali adeguare la retribuzione, con un aumento diretto del costo del lavoro per le imprese di oltre 5,5 miliardi di euro. Cifra che, in ogni caso, non tiene conto di 3.243.000 dipendenti pubblici.
Inoltre, la categoria ha stimato che se si adeguassero i livelli di inquadramento dei dipendenti, che già oggi sono sopra la soglia dei 9 euro lordi, si avrebbe un ulteriore incremento del costo del lavoro per le imprese: il valore stimato dall’ISTAT – 4,3 miliardi di euro -, si triplicherebbe raggiungendo i 12 miliardi di euro circa. Un costo del lavoro così elevato potrebbe, di conseguenza, creare anche un aumento del prezzo di beni e servizi, vanificando quindi i benefici sul potere d’acquisto che la norma sul salario minimo mira a generare. Senza considerare l’impatto sulle relazioni sindacali nelle richieste di aggiornamento dei contratti collettivi nazionali di lavoro.
L’aumento generalizzato della retribuzione comporterebbe, inoltre, una minore disponibilità di risorse da destinare a trattamenti retributivi aggiuntivi, premi di produzione, retribuzione incentivante e trattamenti di welfare aziendale, a discapito della produttività, del benessere organizzativo e della meritocrazia. Questa situazione comporterebbe anche un incremento dei fenomeni di dumping sociale nei confronti dei lavoratori stranieri, con il rischio di una nuova ondata di delocalizzazioni e di una diminuzione degli investimenti esteri nelle attività produttive italiane.
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