Interpretato da:
Giovanna Cappuccio
‘Autori nel cassetto attori sul comò’
Versione ‘Corto’
Teatro degli Audaci
Tredicesimo concorso corti teatrali
Aspettando la sostanziosa programmazione presentata alla conferenza stampa indetta da Flavio De Paola per la stagione 2020/2021 del teatro Audaci, il teatro ospita questo tredicesimo concorso per autori ed attori che porta questo simpatico titolo.
Questa rassegna è stata ideata da Michela Andreozzi, Adriano Vianello, Francesco Verdinelli, Alberto Bassetti e Rosario Galli.
La rassegna darà modo di far conoscere al pubblico, che potrà dare il proprio voto ogni sera alla proposta a cui ha assistito, dando modo ad autori ed agli artisti di presentare (come dice una parte del titolo della kermesse) la sua opera lasciata nel cassetto, ma in versione ridotta.
La giuria è composta da nomi illustri, che insieme al pubblico ogni sera assisteranno a sei proposte.
Una sola passerà il turno per ognuna delle sei serate (dal 17 al 22 settembre 2020).
Il 23 si terranno le semifinali, il 24 la finale.
I voti di giuria e spettatori serviranno a conferire i vari premi, tra cui:
Il migliore spettacolo della serata, il miglior attore, la migliore attrice, il premio della giuria e il premio del pubblico.
Ai tre migliori spettacoli selezionati in queste serate, verrà data l’opportunità di presentare nello stesso teatro degli Audaci il loro lavoro in versione completa.
Tra i partecipanti due nomi a cui sono particolarmente affezionato per le tante sensazioni ed emozioni che mi hanno fatto provare:
Giovanna Cappuccio, sopra il palco e dietro, ben nascosto dalla sua penna sempre carica di inchiostro e piena di nuove idee Giancarlo Moretti che con la sua Valchiria sopracitata partecipa con una versione ridotta del suo ‘Il figlio cambiato’ a cui auguro sia dal pubblico che dalla giuria il dovuto successo. Io ho già potuto vedere, (non questa volta, perché impegnato sotto un altro palco) il dramma, che riporto a seguito con le mie impressioni nella versione completa.
In bocca al lupo per il concorso!
In una scenografia scarna, essenziale e povera, si svolge il dramma di questa povera donna sfortunata e brutta, storia che proviene dalla eco del folklore dell’area vesuviana:
Ci sono 7 sorelle tutte belle, tranne una che è brutta e perciò fugge su di un alto monte, (Montevergine).
Secondo la tradizione, le Madonne sorelle erano 6 bianche ed una nera, la Madonna di Montevergine, che per il colore della sua pelle era considerata la più brutta .
Da qui l’appellativo “Schiavona”, cioè straniera. Così la Madonna, offesa, si rifugiò sul monte Partenio.
Un sincretismo tra credenze popolari, paganesimo e cristianità, conosciuta grazie anche alla Tammurriata.
La storia poi si ribalta, la Mamma Schiavona diventa la più bella delle sorelle, tanto da essere festeggiata due volte nella tradizione, a febbraio e a settembre.
Su questa affascinante storia del folklore che si perde nella notte dei tempi, Giancarlo Moretti innesta una sua versione della ‘Favola del figlio cambiato’ di Pirandello.
Nella favola si narra che le streghe durante la notte sostituiscono i figli, anche qui troviamo una forte dose di credenze popolari.
Ad una mamma viene sostituito il proprio figlio sano con uno malato, decide di ricorrere alla fattucchiera del paese per sapere come riavere il figlio.
La maga gli dice che il figlio è stato portato al palazzo del re, che potrà vivere una vita di agi che lei non può dargli a patto però che si prenda cura del bimbo deforme che lo ha sostituito.
‘Il figlio cambiato’ però si ‘ammalera’ nell’animo a causa del distacco dalla madre, sceglierà quindi di tornare da lei.
Nel dramma di Moretti invece è la madre che vende il figlio con la promessa da parte degli acquirenti che il bimbo vivrà una vita agiata.
Ma i sensi di colpa divoreranno la donna a tal punto che nonostante la sua povertà non userà i soldi di quell’ ignominosa vendita, anzi terra’ quel denaro nella speranza di poter riacquistare il figlio perduto.
Storia intrisa di povertà, abbandono, senso di colpa, distacco, amore materno, dolore, disperazione, ignoranza. Una storia romanzata appartenente ad una tragica realtà dell’Italia povera del 1800.
La protagonista attraversa vari stadi della sua femminilità: compagna, madre, figlia e madonna, come quelle della tradizione sopra citata.
Madonne per altro presenti nella scarna scenografia in forma di piccole figure venerate dalla povera donna, che è iconograficamente legata all’ultima, quella brutta e sfortunata, ma che pur sempre rappresenta una Madonna seppur idealizzata…
Scritto e diretto da Giancarlo Moretti, che più volte ho avuto il modo di poter apprezzare.
Ho avuto il piacere di poter vedere i suoi scritti prendere vita in teatro, grazie alle valenti attrici che sceglie sempre con oculatezza affinché diano vita efficacemente alle sue pagine.
Stavolta si avvale della bravura indiscussa di Giovanna Cappuccio, che fa sfoggio del suo dialetto partenopeo. Sussurrato, urlato, parlato, con la sua inconfondibile graffiante e sofferta voce.
Giovanna si immedesima nella disperazione più profonda e la rabbia sofferta di questa donna che invoca la Madonna, madre come lei, che come lei ha perso il figlio e che come lei è vestita a lutto.
In questo straziante monologo riesce a farci sentire questo dolore.
Giovanna è un attrice che conosco ed apprezzo per averla vista numerose volte sul palco e sullo schermo, un artista completa.
La sua vasta esperienza nella recitazione le permette di vestire i panni dei personaggi più disparati, sia divertenti che profondamente malinconici e tristi, come quelli di questa donna/madonna.
Giovanna con movenze, espressività, sguardi pietosi, tonalità di voce strozzata e sofferta che poi trasforma in una nenia ipnotica, monotona e ripetitiva.
Poi rompe questo cerchio ipnogeno e questa atmosfera claustrofobica con guizzi inaspettati, quasi urlati.
Un crescendo di emozioni, in cui rabbia e disperazione si sposano partorendo un emissione sonora stentorea, potente e destabilizzante, che poi ricade nella piangente e intimorita nenia generata poco prima.
Grazie alla sua espressività e preparazione scenica, cattura l’attenzione dello spettatore che rimane ammaliato dal suo personale modo di recitare.