Digitale e green. Ecco la ripartenza verde di Draghi
Il commento di Giuseppe Sabella autore di “Ripartenza verde. Industria e globalizzazione ai tempi del Covid”
“Sarà un esecutivo ambientalista”. Con questa affermazione, nel giorno del giuramento, Mario Draghi presenta agli italiani il governo da lui presieduto.
Abbiamo chiesto a Giuseppe Sabella, Direttore esecutivo di THINK-IN e research fellow della Donald Lynch Foundation (North Carolina, USA) nonché autore per Rubbettino del libro “Ripartenza verde. Industria e globalizzazione ai tempi del Covid” un commento.
GIUSEPPE SABELLA: «Se dovessimo con tre parole commentare l’annuncio del neo Presidente del Consiglio, potremmo dire: (1) ambiente, (2) digitale, (3) Europa.
(1) I problemi che arrivano dal riscaldamento globale e dalla crisi climatica sono sempre più al centro dell’agenda politica dei governi di tutto il mondo. La frase di Draghi – che non corre certamente il rischio di passare per un ambientalista – sta a indicare l’urgenza di dare delle risposte serie al climate change. Va pertanto accolta come una novità importante l’istituzione del Ministero della Transizione ecologica che assorbirà quello dell’Ambiente e le competenze energetiche dello Sviluppo economico. A guidarlo, Roberto Cingolani, manager di Leonardo e responsabile dell’Innovazione tecnologica del gruppo, che guiderà anche un costituendo Comitato interministeriale per la Transizione ecologica. Naturalmente, transizione ecologica significa anche energetica: il ruolo giocato dalle fonti rinnovabili (e dal digitale) è decisivo nella transizione.
(2) Il digitale è il nuovo motore dell’industria che ha di fatto introdotto un nuovo modello produttivo, oltretutto soggetto a evoluzione potente e velocissima, basato sul minor consumo di risorse. Sta a noi proseguire su questa strada, sfruttando anche la combinazione tra tecnologia e fonti energetiche alternative. Il progresso tecnologico ad oggi ha cambiato pelle: computer, internet e tecnologie digitali ci stanno permettendo di dematerializzare produzioni e prodotti consentendoci, direbbe Andrew McAfee (capo ricercatore ad Harvard), di “consumare sempre di più attingendo sempre di meno”. Dematerializzare significa appunto conseguire una riduzione dell’uso di materie prime nell’economia, aumentando la produttività delle risorse naturali per unità di valore. Il digitale è il nuovo motore che rompe col paradigma dell’era industriale della macchina a vapore e dei suoi discendenti capaci di attingere dai combustibili fossili. Il digitale non introduce solo un rapporto migliore con produttività ed efficienza (e, quindi, competitività), ma anche con l’ambiente. Consideriamo, per esempio, che in uno smartphone vi è il telefono, la calcolatrice, la macchina fotografica, la fotocamera, la radiosveglia, il registratore, il navigatore satellitare, la bussola, il barometro, etc. Tutto questo significa meno metallo, plastica, vetro, silicio rispetto ai dispositivi che hanno rimpiazzato.
(3) Digitale e verde sono, quindi, “sinonimi”: è l’idea che anima il Green Deal europeo, presentato dalla Presidente Von Der Leyen al Parlamento nella sua comunicazione di novembre 2019 che, oltre ai due capitoli su ambiente e innovazione tecnologica, contiene anche il capitolo sulla nuova globalizzazione. Il Green New Deal è un piano che connoterà la politica europea come motore dello sviluppo sostenibile – anche come fattore identitario rispetto a USA e Cina in particolare – e che tra i suoi obiettivi fondamentali ha il contenimento delle emissioni in linea con l’agenda Onu 2030, ovvero -55% di co2 entro il 2030 e 0 entro il 2050 (carbon neutrality). Ma la novità più importante del Green Deal è il rilancio dell’industria locale – a questo serve il Next Generation EU (o Recovery Fund) – e l’obiettivo importantissimo di rafforzare il mercato interno. Del resto, il rallentamento del commercio mondiale (dal 2018), il back reshoring delle attività produttive e la macroregionalizzazione dei mercati stanno sempre più premiando i mercati prossimi alle grandi piattaforme produttive: USA, Cina e Europa. E non è escluso che, a favore del prodotto interno, anche l’UE introduca forme di protezionismo (non a caso, la stessa Von Der Leyen ha parlato di dazi verdi).
L’Europa vuole appunto diventare grande piattaforma produttiva al pari di USA e Cina e, per questo, oggi si ritrova a promuovere questo programma / investimento su cui lavorava già la commissione Juncker, quando – dopo il 2017 – si era iniziato a pensare a come fronteggiare la crescita debole in Europa. Solo un dato: oltre l’85% degli investimenti in intelligenza artificiale è stato realizzato da imprese americane e cinesi (McKinsey Global Institute). È evidente che se non c’è innovazione, non c’è competitività.
Innovare significa investire verso il nuovo, ovvero nella direzione del digitale e del sostenibile. E ciò ha ricadute su produttività, creazione di valore aggiunto e occupazione, in particolare di qualità (che significa soprattutto occupazione giovanile). Nell’auspicio che anche il nostro Paese sappia recitare la parte che gli spetta, l’imprevisto da covid-19 sta accelerando questo cambiamento dell’economia, proiettando sempre più l’industria, in particolare europea, verso le fonti alternative e l’energia pulita. Ecco perché l’ho chiamata Ripartenza verde (Giuseppe Sabella, Ripartenza verde. Industria e globalizzazione ai tempi del covid, Rubbettino 2020). Ed ecco perché Draghi presenta il suo governo all’insegna dell’ambientalismo. L’Italia ha oggi la grande possibilità di innescare un nuovo ciclo economico e di essere protagonista all’interno della nuova Europa e del nuovo multilateralismo nascente. A maggio, proprio in Italia, ci sarà il G20. E a presiederlo sarà Mario Draghi al quale, in questi giorni, sono arrivati gli auguri da tutto il mondo per il suo nascente governo. L’Italia è all’appuntamento con la storia, non lo può mancare. Anche perché il prezzo da pagare sarebbe altissimo».
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