TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (verso la terza dose)
In questo spazio all’aperto su piazza sant’Agnese si svolge l’evento Annibale/Corso Trieste. Qui ho avuto il piacere, in passato, di vedere tanti esibirsi sotto l’egida del sempre presente Matteo Quinzi.
Stasera una simpatica coppia di attori si esibirà per noi in uno spettacolo scritto da loro. Li avevo visti e conosciuti ben due anni fa al White Rabbit, locale prospicente la piazza, in un loro spettacolo della rassegna Undercomedy, anch’essa proposta da Matteo Quinzi.
Mesi fa, poi, ho riconosciuto Bianca nel film di Sergio Castellitto “Il talento del calabrone”. Sono sempre contento quando rivedo sul palco, in uno spot, in una fiction o in un film, attori che ho conosciuto o di cui ho scritto.
Lo spettacolo comincia alle 21.21 con l’arrivo dell’ equinozio d’autunno, l’estate è finita e Luca ci tiene a cominciare proprio in concomitanza con questo evento. L’ attenzione dei nostri sembra mascherare un rito propiziatorio, un omaggio alla natura, un buon auspicio per la riuscita della serata. In realtà loro sanno che lo spettacolo è forte e che procederà senza bisogno di intercessione alcuna.
Propongono un testo lasciato nel cassetto da tempo e rielaborato per l’occasione. Nato come una sceneggiatura cinematografica, viene riadattato per questa serata.
Lo spettacolo, dice Luca nell’introduzione, va immaginato, sentito; si tratta di una sorta di esperimento atto a colpire il pubblico attraverso le emozioni provocate. Inframmezzato da porzioni di brani musicali rock, la nostra coppia seduta dietro al proprio PC legge, interpretando, la parte. Una sceneggiatura/lettura priva di azione ma ricca di intensa interpretazione.
Lei da casa lo vede arrivare mentre riflette silenziosa. Pensa forse a cosa vorrebbe dirgli, a cosa recriminargli. La particolarità sta nei pensieri formulati a voce alta, e il pubblico da subito ne è reso consapevole.
Lui sale le scale goffamente portando uno scatolone. Lei, che ha preparato il pranzo per degli ospiti senza ricevere nessun aiuto, è scontrosa e irritata per il suo ritardo. La tensione si avverte subito perché gli attori Bianca e Luca ci hanno già inghiottito nella loro realtà familiare.
Nello scatolone che lui gelosamente porta dietro, ci sono delle copie di “Rest, le pause del rock”, il libro che ha scritto e che cerca di vendere con difficoltà. Lei è visibilmente indispettita: nonostante l’imminente arrivo degli ospiti, l’uomo è sempre concentrato sul suo progetto, sempre incollato al cellulare. In questo quadretto famigliare, tutto ruota inequivocabilmente attorno a lui mentre l’altra è di contorno, quindi si sente scontata, superflua, sminuita, accantonata.
“Rest” è interessante perché è la rappresentazione contemporanea di due punti di vista diversi di una stessa situazione di vita condita efficacemente con sentimenti umani.
La donna è una persona concreta, l’uomo un sognatore. Il libro non vale niente, lei lo ha capito, forse anche lui ma vuole ignorarlo e continuare ad illudersi. Questo sogno è incompatibile però, deleterio per la loro realtà. Lui è egocentrico, infantile e lei sa di non poter contarci, neanche per preparare l’arrivo degli amici che hanno invitato insieme. Bianca rivela che, mentre era al supermercato, è svenuta ma non lo ha chiamato, sapendo che non sarebbe stato reperibile, come al solito. Nello stesso supermercato, il giorno prima, insieme sono stati coinvolti in una rapina. Un tossico ha puntato la siringa alla gola della donna, mentre lui, per difendersi, se ne è fatto scudo abbracciandola… Sì, l’ha ancora una volta usata, non l’ha difesa come vorrebbe farle credere.
Le recriminazioni di cui siamo testimoni sono quelle di una coppia che non si capisce. Anna ha perso un figlio, e Andrea non era pronto a diventare padre; troppo preso da sé, non ne ha risentito. Forse anche per questo lei era fuggita tra le braccia di un altro, sposato e con figli. Poi era tornata e Andrea l’aveva accolta, ma continua ad essere immaturo. Il rifiuto di un figlio lo porta a controllarle perfino l’intimità, cosa che fa imbestialire la donna, togliendole il sogno di diventare madre e anche la spontaneità nell’amare.
Recriminazioni, rabbia, dolore, incomprensione si inseguono e si aggrovigliano.
Poi la lite. E’ un momento forte, i nostri attori Luca e Bianca esprimono con una tensione crescente e palpabile la rabbia repressa, che finisce per investire anche lo spettatore. Le voci che si alzano, si intrecciano, si accavallano. Le loro recriminazioni si mescolano ai pensieri che il pubblico può ascoltare.
Il litigio, così, offre due versioni che cozzano e si scontrano. Lo stesso fatto si presenta, infatti, in due vesti differenti che coinvolgono gli spettatori e li rendono giudici della disputa.
Poi gli animi si calmano.
Un altro passaggio forte è quello in cui Anna legge ad alta voce un messaggio sul cellulare. È in lacrime e ci rende partecipi sia della lettura che delle sue riflessioni. È un momento di forte crescendo che colpisce allo stomaco. Scopriamo che quando è svenuta, Anna ha chiamato l’uomo con cui era fuggita, che è sempre stato disponibile per lei. L’ha amorevolmente soccorsa, portata a casa, aiutata a preparare il famoso pranzo… Bianca in questo frangente riesce ad essere molto toccante, la sua recitazione ci fa vivere nitidamente lo stato d’animo in conflitto della protagonista. Ma il copione ha una sorpresa per noi: Luca rompe questo attimo intenso al momento giusto. L’ho odiato per questo, avrei voluto ancora “sentire” le emozioni trasmesse da Anna, il suo senso di colpa per quell’amore che ancora prova per le braccia in cui proprio Luca l’ha spinta a rifugiarsi.
Da spettatore, non riesco a colpevolizzare Anna, bensì Andrea, per la sua puerilità, immaturità, insensibilità. Non è cattivo, è solo fragile, insicuro, sceglie di nascondersi dietro sogni ed illusioni. Non ha bisogno di una donna ma di una madre. In fin dei conti non lo si detesta, lo si compatisce.
Forse non tutti avranno notato il pathos creato tra il detto e il pensato con l’uso del “rest”: quelle pause che, nel crescendo degli eventi, diventano sempre più lunghe, intense, pesanti, opprimenti. Alla fine? Si ritroveranno, almeno questa è la mia interpretazione romantica.
È come se questa coppia fosse sospesa nel tempo. Tra liti e riappacificazione, sembra bloccata in un loop, sottolineato da quelle pause/rest sempre più predominanti, quei vuoti che a mio avviso rappresentato i non detti, i problemi non affrontati, quelli che rimangono lì e che minano la coppia.
Poi, in una manciata di secondi arriva il deus ex machina, il tempo, il fato, il destino, il caso, chissà… accade tutto insieme. Finalmente si trovano, dopo la lite, a fare l’amore. Lei non ha usato precauzioni e lui non se ne è curato. Tutto è immediato e naturale, forse quell’occasione per avere un figlio è giunta senza essere programmata, così, spontaneamente. Suona il citofono e finalmente sono giunti gli amici, tutto termina, forse… Avranno trovato l’equilibrio?
In realtà questa è la mia interpretazione, da romantico, ma sarà davvero così?
Il forte dello spettacolo sono il continuo sovrapporsi di pause e pensieri, nonostante non ci sia l’azione (perché i nostri sono seduti dietro ai loro portatili). Gli stati d’animo arrivano, eccome! In scena viene portato il quotidiano, quello che tutti noi abbiamo vissuto chissà quante volte nel gioco della vita amorosa. Quelle liti senza fine sono le nostre. Anna e Andrea, o meglio Bianca e Luca, danno voce al nostro alter ego, rappresentando il fantasma in agguato contro la coppia.
Mi piacerebbe rivedere lo spettacolo riadattato in versione teatrale, arricchito dall’azione. Lasciando liberi i nostri di muoversi su un palco, credo che le loro emozioni sarebbero trasmesse in maniera ancora più realistica. Ma “l’esperimento” è riuscito e gli appalusi chiudono la serata.
Interessante incontro a fine spettacolo con Matteo Quinzi, attore, organizzatore, sceneggiatore, insegnante di recitazione… e i nostri due artisti. Matteo, profondendo complimenti alla coppia, evidenzia gli aspetti tecnici della loro proposta. Elementi che, credo, il pubblico abbia percepito senza rendersene conto.
Se un profano ascolta un’ orchestra, ne sente l’insieme ma non percepisce il singolo strumento, come invece riesce a fare un musicista. Ebbene, Matteo è il musicista, che è stato in grado di percepire i toni e le sfumature scorporandole dall’insieme e sottolineandone le pause, i passaggi salienti, i colori, le intensità e le sovrapposizioni, alcuni aspetti di cui ho già parlato, ma visti da un punto di vista tecnico, professionale. L’interpretazione di un esperto è senza dubbio molto interessante ed utile per meglio comprendere non solo la proposta, ma anche e soprattutto il lavoro e l’impegno degli artisti, elementi che possono sfuggire allo spettatore comune.
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