TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (verso la terza dose)
di Roberto Cavosi, con Giobbe Covatta e Pino Quartullo e con Fausto Caroli, regia di Pino Quartullo
Teatro Tor Bella Monaca
È la prima volta che entro nella sala grande di questo teatro, le altre volte ero stato in quella più piccola. Devo dire entrambe deliziose, ma questa è particolarmente bella e confortevole e con un grande palco.
L’idea che un teatro sia situato in una periferia nota per finire spesso sulle pagine dei giornali per spiacevoli fatti di cronaca, ne fa un’ importante isola felice della cultura, che auspico possa essere approdo per qualcuno di quegli abitanti della zona che vogliano abbandonarsi al piacere dell’arte teatrale e staccarsi per un po’ da quella triste realtà.
Quartullo e Covatta sono Leon e Bart, due attori mitomani persi nel sogno di voler fare cinema. Si incontrano e confrontano in un fast food, raccontandosene di tutti i colori, mentre sono seduti davanti ai loro hamburger. L’inserviente del locale li ritiene degli scocciatori perditempo; chissà, forse loro sarebbero anche bravi artisti. Sembra, almeno dai loro racconti, che invece siano vessati dalla malasorte, anche se sinceramente danno più l’idea di essere troppo impegnati a piangersi addosso e a fantasticare invece di prendere in mano la propria esistenza e ad impegnarsi per riuscire a concretizzare il loro sogno; o forse sono semplicemente poco obbiettivi e dovrebbero desistere e cambiare mestiere.
Alla fine si rivelano essere solo due pallonari in gara tra loro a chi la racconta più grossa. Vince Bart, sicuramente; è lui che, a detta sua, ha “girato” più film di ogni altro; peccato che le sue scene siano sempre state tagliate e non sia mai apparso sulle pellicole citate. Lungometraggi famosissimi che noi tutti conosciamo e che abbiamo apprezzato, senza di lui però. Le loro vicissitudini fanno breccia nel pubblico in sala facendolo divertire, ma a denti stretti.
Ci appassionano perché, in qualche modo, riescono a farci affezionare alla loro immaturità; due poveracci che non hanno neanche i soldi per pagarsi un pranzo. In tutto lo spettacolo, tra un panino e l’altro (che in realtà è sempre lo stesso) affogano virtualmente le loro patatine ed hamburger in ettolitri di salse immaginarie. Fa da contorno la disperazione del burbero ma simpaticissimo inserviente, visibilmente contrariato per la loro prolungata ed indesiderata permanenza.
Lo spettacolo è un susseguirsi infinito di citazioni di attori, film, registi che le musiche azzeccate in sottofondo accompagnano sapientemente. Bella la scenografia in cui si muovono i nostri: un fast food ricreato alla perfezione con tanto di porta d’uscita da cui si intravedono realistiche palme con attigua strada pubblica, ed un finestrone che incornicia la famosissima montagna su cui campeggia la nota scritta “Hollywood”. Siamo dunque nella città che rappresenta il successo, il sogno americano ma anche, come in questo caso, il fallimento.
I due ci intrattengono per tutto lo spettacolo senza scossoni, con una regia ed una scrittura volutamente lineari, sempre delicate e gradevoli. Pino e Giobbe riempiono di battute simpatiche la loro performance, con quell’esperienza che hanno maturato nella loro vita professionale, ben vestendo i panni richiesti dal copione. Sfondoni ricchi di fantasia, che ricordano quelli che si sentono al bar dell’angolo di una qualsiasi periferia, dove si fa a gara a chi la racconta più grossa. I nostri Pino e Giobbe con grande simpatia e un grande sforzo mnemonico citano e ci ricordano come, in un revival, titoli e nomi che hanno fatto grande il cinema americano. Peccato che loro non ci siano mai sopra.
Pino ha un timbro di voce che adoro, una parte da cantastorie sornione e bonaccione. Giobbe, con il suo adorabile accento partenopeo che lo accompagna da sempre, è più spaccone e le spara sempre più grosse. Di fondo i due si compensano e alla fine si ritrovano insieme a navigare in questo mare di fandonie ed illusioni che non fanno male a nessuno se non a loro stessi, ma che li aiuta a sopravvivere in quella velata disperazione in cui vivono. Uno spettacolo dolce, piacevole, ma con un forte retrogusto amaro; simpatico ma anche nostalgico, che fa perno sulla loro povertà ricca però di fantasia, che ruba tanti sorrisi e qualche risata. Due professionisti che si divertono, divertendoci con passione e stile.
Immancabile l’incontro post spettacolo con il loro pubblico. Tra chi aspettava, l’anziana mamma di Giobbe che ha voluto veder recitare suo figlio, un dolcissimo quadretto che ho avuto modo di apprezzare. In seguito, dopo il saluto materno, Giobbe si è reso disponibile per farsi salutare e conoscere di persona. Stessa cosa per Pino, che avevo già conosciuto poco tempo fa ad un altro suo spettacolo, “Il prestito”. Sempre sorridente ed accogliente sia nei miei confronti che con gli altri spettatori rimasti per salutarlo. Apprezzo sempre questo momento finale della serata che reputo una sorta di “terzo tempo”. Un piacevole incontro tra artisti e gente comune, che consolida il rapporto tra le due parti.
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