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Teatro Trastevere
Tratto da “Spettri”, un dramma scritto nel 1881 dal norvegese Henrik Ibsen che Giancarlo Moretti, nella veste di regista, propone liberamente. Interpretato da: Alessandro Calamunci Manitta (Osvald), Giovanna Cappuccio (Helene), Ilaria Fantozzi (Regine), Vincenzo Longobardi (Alving), Mauro Toscanelli (Manders) e con la partecipazione di Ornella Lorenzano (lo spettro).
Non è la prima volta che Giancarlo, grazie alla sua profonda conoscenza e cultura, attinge dai grandi classici i suoi spettacoli, sempre riproposti con tocco e gusto personali che mi colpiscono sempre. Chiama sempre a sé ottimi attori in grado di ”materializzare” il suo pensiero artistico portandolo sulla scena. Stavolta scomoda Ibsen con i suoi “Spettri”, un classico della drammaturgia di fine ‘800. Nel dramma prendono vita non solo le paure più profonde dei personaggi, ma anche i loro lati più nascosti ed abietti. Vite e drammi legano tra loro queste persone. Nella sua versione Giancarlo riporta addirittura in vita il defunto Alving, che nella scrittura originale è già morto da tempo. Lui è il vero responsabile delle problematiche dei suoi familiari. Giancarlo, magnanimo in questa sua riscrittura, vorrebbe dare a tutti loro una seconda opportunità e consentirgli così di affrontare gli irrisolti. Come se una dimensione parallela si sovrapponesse alla storia conosciuta, si verifica uno strappo che mette di nuovo tutti in gioco: Helene, la moglie di Alving; Osvald suo figlio; Regine, la servetta; Manders, un politico amico di famiglia; e per finire lo spettro.
Poetica l’iniziale entrata in scena della piccola servitrice della casa Regine, “adottata” dalla famiglia. Senza una parola esprime tutta la sua dolcezza e la semplicità che la connotano, grazie ad una bravissima Ilaria. Si aggira per la casa (ben ricostruita dalla scenografia) trasognata e melanconica, con un sorriso abbozzato e l’espressione sognante.
Per commemorare la memoria dell’amico Alving, giunge in casa il moralista politico Manders che entra subito in attrito con Helen ed in seguito con il figlio, troppo moderni per la sua mentalità anacronistica. I due si sono ribellati alla dissolutezza del padre, mettendo così in crisi quella morale della famiglia che il politico ipocritamente difende. Alving viene dipinto come un benefattore dall’onorevole bigotto, turbato dai pensieri del figlio sempre avallati dalla madre troppo rivoluzionaria che ha voluto mettere in crisi la famiglia prendendo tra l’altro in casa, come atto provocatorio, Regine. Lei è una servetta, meglio dire una collaboratrice domestica, tolta a un padre dalla discutibile morale che assomiglia a suo marito, verso il quale prova un forte senso di acredine per l’aspra esistenza che le ha fatto vivere. L’onorevole Manders si sta preparando per l’inaugurazione di un asilo intestato al discutibile benefattore Alving, di cui l’onorevole ipocritamente tesserà le doti. Ma l’acido Alving ricompare come nulla fosse. È insolito che solo la moglie Helen sia visibilmente colpita da questo ritorno dall’oltretomba, mentre gli altri sono indifferenti e, come ipotizzati, sembrano accettare come normale questo strano fatto. Dopo un primo momento di sbigottimento, anche Helen finisce per accettare l’assurda situazione. Forse la personalità dell’uomo è talmente forte e nociva che è impossibile sbarazzarsi di lui. È antipatico, prepotente, dispotico, provocatorio, spocchioso. Il figlio Osvald, che davanti al politico perdeva quella sua timida ed incerta insicurezza iniziale, viene subito schiacciato dalla figura paterna e si mostra per quello che è: introverso, acerbo, debole, anche se di fondo molto sensibile, in antitesi con il padre visibilmente anaffettivo. Regine invece è angelica, semplice, dolcemente infantile, pura. Per lei questa è la sua famiglia, ne ha bisogno e l’ha idealizzata, perché senza crollerebbe ogni sua certezza. Molto sensibile, conosce profondamente Osvald fino ad infatuarsene, e questo solo attraverso le lettere che la madre ha ricevuto quando lui era lontano e che anche lei ha letto. Helen è una donna coriacea, indurita dalla vita passata con un uomo deplorevole. L’onorevole è il classico rappresentante di questa società corrotta e decadente, un monumento all’ ipocrisia più bigotta.
Bello il momento in cui si spegne una parte della scena e i nostri rimangono come congelati, contrapposto a quello in cui rimane la luce, simbolo di vita e sentimenti in cui si muovono Osvald e Regine nel loro attimo di dolcezza che rompe la tensione costante del dramma. Si confidano, rivelandosi affetto reciproco che però per Regine deve rimanere segreto per non turbare gli equilibri familiari.
Non avevo notato che i colori degli abiti della madre sono come quelli del figlio… Forse vogliono evidenziare quel cordone ombelicale inscindibile che la madre non vuole recidere con lui. Sarà l’inizio di questa relazione con la ragazza a rompere l’equilibrio e a spezzarne traumaticamente il legame.
Alving, perfido fino alla fine, svelerà che Regine è la sorellastra di Osvald, nata da una relazione extraconiugale. Dunque ora anche Helen si svela per quello che è: vendicativa e rancorosa, usava la ragazza ed il figlio come vendetta nei confronti del marito. Da questo momento in poi non esistono più legami tra nessuno in scena, gli unici sentimenti che li accomunano sono un forte odio e un rancoroso risentimento. Suggestiva l’entrata del fantasma, un simbolo del dramma, che rappresenta forse il ritorno dall’oltretomba di Alving o la morte virtuale di questi cuori induriti. Dunque anche questa seconda chance della vita è sfumata. Il ritorno di Alving non sarà utile per risolvere le cose in sospeso, ma solo per ricalcare quel destino già scritto che accomuna tutti: una guerra di tutti contro tutti dove ciascuno è vittima degli altri o di se stesso. Un ritorno che serve da retroscena per svelare la vera essenza di ogni personaggio. Anche il remissivo Osvald libera il suo veleno da represso una volta scoperta la parentela con la sorellastra, e sfoga su di lei la sua rabbia. Regine, inconsapevole di questa verità, si strugge e disperata fugge non avendo più nulla che la tiene legata a questa realtà andata in fumo. Il fantasma che prima si aggirava come per tastare il terreno e lasciare la sua impronta in questa famiglia che è morta dentro, è venuto per lei, abbraccerà teneramente la povera Regine coprendola con i suoi veli, come a volerla proteggere con la morte da una famiglia così negativa.
A prescindere dalla storia a cui Giancarlo dà ovviamente un suo taglio personale, è d’obbligo spendere qualche parola sulla recitazione di questi attori, tenendo conto del mio punto di vista di spettatore della prima fila.
Tutti palesano con una forte espressività il loro carattere, sia la parte sofferente che aggressiva, sottolineate in maniera marcata. Vincenzo risulta immediatamente antipatico, dalla sua entrata e per tutto lo svolgere della storia, esattamente come deve essere. È ritornato per continuare ad infierire sulla sua famiglia e lo fa convincendo il pubblico. Giovanna è un’attrice che seguo da tempo, innumerevoli le volte che l’ho vista esibirsi. Conosco bene il suo lato comico e quello drammatico, non si smentisce mai. La sua bravura e il suo modo di porsi, la sua classe, la voce sono sempre riconoscibilissimi. Un’ attrice che è una garanzia, lo sa bene Moretti che ogni volta la chiama per i suoi spettacoli. Mauro? Beh, nonostante rappresenti un uomo dell’Ottocento direi che è la quinta essenza del politico attuale, riesce a trasmettere tutta l’ ipocrisia del suo personaggio. Eccezionale. Ilaria è stupenda, una perla. Rappresentando in maniera poetica il suo ruolo, questa ragazza ha gli occhi sognanti che trasmettono la sua purezza, proprio come l’ha pensata Moretti. Appare in tutta la sua dolcezza, in tutta la sua inesperienza, fanciullezza ed ingenuità. Davvero fantastica. Quello che sembra essere l’anello più debole è Alessandro, che nella sua interpretazione si cala talmente nel personaggio che inizialmente la recitazione sembra soffrirne. Ma arriverà la sorpresa per il pubblico, il colpo di scena, quando sprigionerà tutta la sua bravura nel vomitare sulla madre e sulla povera sorellastra la sua rabbia e il suo dolore. L’esternazione è realistica, forte, tanto che il personaggio prende finalmente un’altra piega dimostrando le doti di questo artista, che per altro ho già visto in altri spettacoli e che mi ha lasciato sempre soddisfatto. Sembra quasi che Alessandro ci abbia preso in giro tanto è stato capace… Di sembrare incapace! Che altro dire se non bravo? Ornella invece appare solo come fantasma, ma la sua leggiadria, la classe, la dolcezza che io ben conosco per averla vista in numerosi altri ruoli, traspaiono attraverso quei veli con cui si presenta da spettro sulla scena, pur non proferendo parola incanta.
L’atmosfera dello spettacolo è riuscita, è quella giusta: evoca la necessaria pesantezza e la lentezza volute da Ibsen e da Moretti ma non risulta monotona né noiosa. Ogni personaggio è ben interpretato e ha il suo spazio per farsi conoscere dal pubblico, il resto è frutto di un’ ottima recitazione in sinergia con un’ottima regia.
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