TEATROVID-19 il Teatro ai tempi del Corona (verso la fine della pandemia?)
Teatro Trastevere
Scritto e diretto da Paolo Maria Congi, aiuto regia ed effetti Ethel Fanti, con Paolo Maria Congi, Benedetta Cassio, Paolo Cutroni e con l’amichevole partecipazione di Mauro Tiberi.
Tre personaggi differenti sembrano giocare una partita d’azzardo tra loro; man mano che la storia procede, ognuno “gioca” le sue carte e svela il proprio gioco e con esso il suo carattere, le paure, le debolezze, la sua aggressività frutto di irrisolti. Un attore, una psicanalista ed un procuratore (questi ultimi due sono sposati) si muovono in un mondo violento di cui sono succubi e al contempo portabandiera. La violenza diviene il veicolo per fuggire dalle loro paure e dalla profonda e struggente solitudine che li accomuna. Forse questa insana complicità è il loro unico modo per sentirsi meno soli…
Cosa dire di questo spettacolo? Intanto che la sceneggiatura funziona molto bene. Un racconto fortemente drammatico, che prenderà una piega molto interessante ed inaspettata. Si apre con l’ingresso di Mauro che, nelle vesti di operaio, entra in quella che è visibilmente una stanza che sta subendo un restauro; così facendo, catalizza su di sé l’attenzione e apre le danze. Dopo una breve ispezione del cantiere, sparisce per tutto lo spettacolo. Lui è il veicolo che ci porta nell’azione; la sua apparizione sfonda immediatamente la barriera tra platea e palco in una realtà che non ci saremmo immaginati e ci risucchia dentro. Poi sparisce dietro le quinte, facendomi pensare che sia lui a prendere in mano i fili di questi tre personaggi e a giocare con i loro sentimenti, facendoli scontrare come burattini… Ovviamente questo è un mio pensiero, se andrete a vedere lo spettacolo chissà se avrete la mia stessa impressione…
Benedetta è nei panni di Selene, una psicologa dalla voce e dagli atteggiamenti pacati che mi hanno ricordato a tutti gli effetti una professionista dei segreti della mente. Incontra il suo assistito, Matteo (Paolo Maria Congi), visibilmente disturbato ed ossessionato e molto realistico nei suoi picchi schizofrenici, tra deliri di onnipotenza e momenti di profonda depressione; si capisce immediatamente che è una persona psichicamente instabile. Già da anni in cura da lei, sembra non essere riuscito ad ottenere molto dalla terapia per risolvere le sue problematiche emotive ed esistenziali. Non volendo svelare troppo, tra i due, il rapporto paziente/medico si infrange e sfocia in qualcosa di diverso e perverso che sfuggirà di mano ad entrambi. Questa situazione sarà una sorta di cavallo di Troia atto a svelare alcuni aspetti dei due che altrimenti sarebbero rimasti nascosti. Una furba messinscena della sceneggiatura che servirà a capovolgere ed invertire momentaneamente i ruoli. Il tutto porterà ad una paradossale e forzata confessione, un pretesto della terapeuta per sfogarsi e confessarsi, permettendoci di entrare meglio nell’intimo del personaggio. Con l’arrivo di Paolo Cutroni nei panni di Elio, il marito, la situazione si complica ancora di più. Tra i tre si innesca una sorta di triangolo, che più che definirsi amoroso è esistenziale, con risvolti che precipitano ancora di più la storia nel drammatico. Altra trovata della sceneggiatura che permette a tutti di svelare, attraverso un gioco perverso, il loro carattere e il loro duplice ruolo sia di vittime che di carnefici. Questo secondo me è il punto forte della sceneggiatura, che arriva a toccare dei picchi talmente grotteschi da riuscire addirittura a far ridere il pubblico in alcune situazioni paradossali, senza però rompere l’atmosfera di tensione e drammaticità. Davvero insolito, ci si sente in colpa per quelle risate spontanee che ci sfuggono; forse è l’imbarazzo che proviamo nel seguire gli avvenimenti della storia, ma nel frattempo la nostra poltrona, tra una risata e l’altra, diventa sempre più scomoda… Siamo divenuti perversi, kafkiani, pirandelliani quanto i soggetti in scena. Geniale!
I nostri si sovrappongono con reazioni sempre più contrastanti che creano momentanee ed altalenanti quanto improbabili alleanze della durata di pochi secondi costruite per superare quel fugace attimo di debolezza di ognuno, far fronte comune con l’altro e cercare il suo punto debole, strattonandolo e spodestandolo dalla posizione di despota alastore ed accusatore. La figura della donna è sempre l’ago della bilancia. Quella che all’inizio sembra la parte più debole ed indifesa, si manifesta liberando la sua grande forza repressa arrivando a prevaricare e a schiacciare gli uomini (anche nel loro concetto più maschilista), usandoli a suo piacimento e al contempo rimanendone parzialmente soggiogata. Il tutto si svolge in questa scenografia scarna ed essenziale dove l’ambientazione dei lavori di ristrutturazione rendono asettica la scena, che sembra imprigionare i personaggi per non farli sfuggire al loro destino. In primo piano c’è la scala, quella che appare nel titolo; forse vuole alludere al crescendo dell’ intrigata storia? O all’unica via di fuga? I nostri ci tengono con il fiato sospeso fino all’ epilogo. Benedetta per me è una sorpresa, è la prima volta che la vedo sul palco e mi ha convinto, mentre i due Paolo sono l’ennesima conferma, avendoli più volte visti in azione. La storia si sviluppa bene e tiene lo spettatore in una sorta di suspense fino all’ultimo. Lo spettacolo finirà con il nostro operaio che, ignorando ogni accadimento, farà una nuova perlustrazione del cantiere come fosse un entità superiore che si è divertita a portare in scena questo dramma greco moderno, giocando con i destini dei tre disgraziati per burlarsi di noi. Interessante la reazione del pubblico: dopo i saluti degli artisti e la chiusura del sipario, nessuno ha lasciato la sua poltrona per una manciata di minuti che mi è sembrata infinita. Come se ci si aspettasse un proseguo. Credo proprio che i nostri abbiano lasciato il segno!