Teatro de Servi
Con Alida Sacoor, Roberto Bagagli, Guido Goitre, Matteo Montaperto e Andrea Bizzarri.
Siamo nel 1944. Un gruppo di ragazzi partigiani nascosti sulle montagne laziali decide di far saltare in aria un treno carico di armi e diretto a Roma per rifornire i tedeschi. Ma una donna, trovata priva di sensi nel luogo del loro nascondiglio, scompagina i piani.
La storia prenderà una piega che permetterà allo spettatore di immergersi in un saliscendi di emozioni provocate dal turbinio di queste vite, lasciando inizialmente lo spazio al sorriso tra le tante effervescenti e continue dinamiche tra i protagonisti presentate in maniera leggera e comica.
I nostri non sono personaggi reali; questo vuole essere un omaggio a tutti quei protagonisti “secondari” che, se non hanno fatto la storia, hanno contribuito a farla scrivere. Persone di cui non conosciamo le vicende; uomini e donne rimasti muti, sconosciuti alla storia con la “S” maiuscola. Gente comune, con esperienze e vite normali, inghiottita e travolta dal dramma della guerra che l’ha resa, suo malgrado, protagonista.
Lo spettacolo, dunque, restituisce a queste persone attraverso questi bravi artisti un tributo sottolineandone pregi e difetti con delicatezza e tutta l’umanità possibile.
Avevo visto questo spettacolo già un anno fa; ancora ricordo quando Guido, al suo invito, mi aveva raccomandato: “Portati i fazzoletti…” Perché se la storia è realistica, ed è proposta in chiave ironica e molto divertente, è anche fondamentalmente drammatica e non mancherà di commuovervi.
Stasera sono qui per vederli di nuovo, per riapprezzare questo cast di bravi attori, per riassaporare quelle sensazioni che mi avevano accompagnato e coinvolto lo scorso anno e perché no, anche per vedere i progressi di questi fantastici ragazzi. Inoltre, stasera mi hanno fatto un bellissimo regalo: mi hanno accolto nel loro regno, dietro le quinte, prima del loro spettacolo.
Ho assaporato così l’adrenalina, l’entusiasmo, la passione che empaticamente mi hanno trasferito; quelle stesse emozioni e sentimenti che molto probabilmente accompagnano un artista prima di andare in scena.
È emozionante calpestare quel palcoscenico come fossi uno di loro, vedere la platea ancora vuota, il sipario chiudersi poco prima dell’inizio, assistere a come gli attori si disporranno nella prima scena, o vederli riprovare qualche passaggio di una scena, ma anche guardare con attenzione da vicino la realistica scenografia, per altro bellissima, che ripropone un casolare di campagna con tanto di suppellettili; scenografia che li accompagna ormai da nove anni…
Poi, dopo questo momento infinito e quasi surreale a cui difficilmente una persona che non è del settore si trova a vivere, scendo in sala ed immaginandoli tutti in cerchio prepararsi al rito dell’ormai noto grido liberatorio e augurale di “Merda! Merda! Merda”, per prendere posto in poltrona e godermi la serata.
Mi accorgo di essere ancora immerso in questa bella esperienza, tanto che sento ancora le risate, le battute dette in intimità, provo il piacere di quei sorrisi rubati a questi ragazzi che ancora mi accompagnano con il loro calore mentre come un “non più comune spettatore”, mi godo nuovamente questo bellissimo spettacolo che ora sento più mio.
Riuscire a scrivere una commedia in cui si ride nonostante si affronti il drammatico tema della guerra e della Resistenza, inserendo quel tocco all’ italiana, con profondità e ironia, non è così scontato né facile.
La scrittura di Andrea riesce invece a parlare di un momento buio della nostra storia con dolcezza e simpatia, ma senza dimenticare i momenti drammatici come quelli di via Tasso, delle incursioni aeree, i litigi tra i partigiani dell’ultima ora, o di quelli che si opposero da subito al regime; poi si ricordano i dissapori verso i soldati del Regio Esercito, considerati servi del regime, o quelli migrati nella Repubblica Sociale.
Non dimentichiamo che dopo il fatidico otto settembre, l’Italia si spaccò in due in una guerra civile e fratricida, i cui echi si avvertono ancora oggi nel mondo politico tra inneggiamenti, revisionismi e negazionismi. Qui ben lontani per fortuna.
La scrittura rivela un attento studio del periodo storico, tanto da farmi tornare in mente alcune pagine del diario di Rosario Bentivegna, uno dei partecipanti all’attentato di via Rasella, che nel suo libro racconta la vita di un partigiano, così come Andrea ha saputo ben rappresentare senza appesantire la storia, tantomeno politicizzarla.
Il suo intento è quello di proporre uno spaccato di quell’epoca in maniera molto realistica e poetica, attraverso dialoghi leggeri e divertenti, anche se Andrea inserisce uno scontro ideologico tra il partigiano comunista più oltranzista e il disertore ex fascista amareggiato e redento, in un confronto piuttosto realistico. Nonostante dissapori, paure, tensioni, a risaltare è sempre il sentimento dell’amicizia, che annichilisce ogni idea politica.
Questa a mio avviso è una delle chiavi che rende vincente la storia, che elegantemente rimane lontana da qualsiasi presa di posizione o allusione ad un qualsiasi ideale. C’è il rispetto, privo di critica ad ogni posizione.
L’amicizia ne esce a testa alta, la guerra con la coda tra le gambe.
Andrea è nei panni di Peppe, Roberto di Massimo. I due sono fratelli. Ci sono poi Guido, detto Gnappo, e Matteo, detto Sallucchione; lui è un soldato dell’Esercito Regio, che da disertore si è unito ai partigiani; poi c’è Alida nei panni di Lupa, anche lei fa parte della Resistenza.
Altra nota di merito che segnali della sceneggiatura è il realistico uso dei soprannomi, che i partigiani usavano per non svelare il loro vero nome e non essere rintracciabili in caso di cattura e tortura di un membro del gruppo. Ancora una volta, Andrea non si smentisce nella sua attenzione per i fatti storici.
Mentre il gruppo, un po’ raffazzonato, è in attesa del passaggio del fatidico treno da fermare con una bomba, le vicende dei nostri si incrociano tra loro. La mia impressione non è cambiata. Come per la prima volta che vidi lo spettacolo, confermo la mia sensazione, ovvero che la sceneggiatura abbia scelto volutamente che nel primo atto ogni attore presentasse il proprio personaggio con una recitazione marcatamente “leggera”, questo per rendere il soggetto più naturale e realistico possibile, lasciandolo nella sua autentica semplicità.
E che nella seconda parte invece si sia impegnata spingendo per far emergere le evidenti capacità artistiche di ognuno di loro per poi accompagnarci all’epilogo, rincarando la dose e svelando non solo tutta la bravura di questi ragazzi, che sia in questa prova che nelle altre non mi hanno mai deluso, ma arrivando marcare con maestria il lato più drammatico ed inevitabile della storia.
Mentre affiorano i vari lati del carattere di ognuno, inevitabilmente le tensioni si accentuano sia a causa della missione che della rivalità personali, facendo scivolare inconsapevolmente lo spettatore in quella svolta drammatica della vicenda.
Nel secondo atto dunque si abbandona quasi completamente la parte ironica, scompaiono le battute per lasciare spazio a momenti fortemente drammatici, sottolineati da alcuni passaggi tra una scena e l’altra volutamente rallentati, che creano una suspense atta a far salire l’ansia nello spettatore.
I nostri si rivelano bravi artisti; ben affiatati tra loro, esprimono con realismo e drammaticità la sceneggiatura; senza perdere di vista la tensione della situazione e senza rompere questa atmosfera, riescono a farci ridere della loro semplicità e schiettezza. Alida mi riporta alla mente la Ferilli, la Coscina, la Magnani; insomma, tutte quelle brave attrici storiche del cinema italiano degli anni ’50 attraverso il suo approccio, alcune gestualità e la sua prorompente fisicità.
Sembra uscita da una di quelle pellicole neorealiste in bianco e nero a cui riesce a dare un suo colore. La scena in cui si deterge il corpo nel fontanile del casale sfilandosi le calze e facendo impazzire uno dei poveri partigiani, non può non ricordare la scena di Mastroianni con la Loren nel film “Ieri, oggi e domani”…
Matteo, che ho seguito spesso attraverso i video disseminati sul web con il suo gruppo “I Due e Mezzo”, ma che ho apprezzato anche più volte a teatro in spettacoli dove erano coinvolti anche gli altri attori di questo cast, si conferma sempre il bravo e capace artista che conosco.
Sarcastico, pungente, stralunato e un po’ imbranato in questa veste, riporta alla mente il militare italiano rappresentato da Gassman e da Sordi ne “La grande guerra”, che personalizza con uno spiccato accento veneto talvolta incomprensibile. Simpatico, motivato e soprattutto determinato, nonostante la sua bontà d’animo. Con Guido danno vita a tutta una serie di divertenti confronti sulla lingua italiana attraverso i loro dialetti davvero spassosi.
Massimo e Peppe vengono presentati efficacemente come due classici fratelli alle prese con le loro rivalità e i battibecchi familiari, nonostante il momento critico; l’affetto fraterno li unisce, mentre le diversità caratteriali, anche queste ben mostrate dai due, li allontanano. Ma di fondo si amano. La sceneggiatura, ma soprattutto Andrea e Roberto, hanno ben evidenziato quel classico rapporto di amore e odio che spesso troviamo tra fratelli.
Guido veste i panni di un partigiano piuttosto pasticcione e fantasioso. Sono sempre contento di vederlo e mi ha sempre fatto un’ottima impressione. L’ho visto in molti spettacoli: fianco di Veronica Liberale o di Marco Cavallaro, ma anche in altre proposte in cui erano coinvolti alcuni membri di questo cast. Riesce a mostrarsi simpatico, impacciato, timoroso; un jolly, appare dappertutto e sa riempire costantemente la scena.
È in grado di evocare numerosi stati d’animo incastrandosi nella storia e con gli altri in maniera ineccepibile.
Lo spettacolo è bello e ben fatto, riesce a restituirci in maniera viva i drammi di quei momento e gli attori si esprimono al meglio delle loro capacità. Efficaci i rumori di fondo degli aerei di passaggio, degli uccellini cinguettanti e delle armi in lontananza. Molto bella la scenografia, così come i costumi.
Ciò che si apprezza e si nota è il bilanciamento tra le parti più drammatiche e quelle più leggere, non si cade mai nello scontato così come nell’eccesso.
Un “gioco” che rende la commedia adatta a tutti. I nostri ci fanno ridere, riflettere, ci emozionano e infilano qualche nozione storica che sanno sfruttare in maniera intelligente, così come la discussione animata tra Roberto e Matteo sulle loro scelte politiche, l’uso dei soprannomi, il ricordo delle torture di via Tasso, come la menzione del calibro giusto dell’armamento di cui era dotato il BF 109, l’aereo da caccia tedesco che si sente ronzare di continuo sulle loro teste.
Piccole perle, forse non colte da tutto il pubblico, ma sicuramente da chi ha la passione per questo periodo storico; particolari che ho molto apprezzato, perché spesso presi sottogamba nell’ambito del cinema, ma soprattutto nel teatro.
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