Teatro 7
di G. Quinto
Con Francesca Gegia Antonaci, Manuela Villa, Valentina Olla, Sabrina Pellegrino, Eugenia Bardanzellu, Elisabetta Mandalari, Giulia Perini
regia Siddartha Prestinari
Siamo agli inizi di agosto, quando tutti sono già con la valigia pronta per le meritate ferie. Anche in questa azienda fervono i preparativi per l’agognata villeggiatura. È infatti l’ultimo giorno di lavoro prima della chiusura estiva presso una fabbrica del Lazio che produce carni preconfezionate.
Teresa, è una delle donne del reparto, “produzione brodo”. Viene convocata in direzione per una comunicazione urgente. Altre sei colleghe, preoccupate dell’insolito evento, attendono l’esito dell’ incontro, poi si accorgono che anche in altri reparti sono stati convocati dei rappresentanti. Al suo ritorno, Teresa rivela il mistero: a causa della crisi, un membro di ogni reparto dovrà essere licenziato. Fatto insolito, è che purtroppo saranno proprio loro a dover decidere chi del gruppo dovrà essere esautorato.
Lo spettacolo, attraverso l’ escamotage dell’imminente licenziamento, porta alla luce l’ aspro confronto, le tensioni sopite ed i non detti che riemergono tra le operarie. Con gli animi esacerbati ed impauriti, comincia la ricerca di un capro espiatorio da immolare.
Le dinamiche ci sveleranno la profonda e sofferta riflessione di ognuna, con tanto di esposizione dei propri scheletri nell’armadio. Il gruppo, sfaldandosi darà il via a una serie di feroci discussioni che evidenzieranno le diversità di pensiero. Quelle che apparentemente sembravano colleghe legate da amicizia, si scoprono ora rivali egoiste e rancorose. Il loro comportamento ci darà modo di riflettere, ma senza riuscire a giudicarle. Cosa saremmo disposti a fare noi per salvare il posto di lavoro? Agiremmo a scapito di altri? Ecco che lo spettacolo ci mette di fronte alla nostra ipocrisia, trattando in maniera cruda e realistica un argomento tristemente attuale, ma con un pizzico di ironia dal retrogusto spiccatamente amaro.
Nel dramma vengono inserite gustose ed efficaci battute brillanti atte a sdrammatizzare i momenti di maggior tensione. Si tratta di vere e proprie pillole edulcoranti, uscite spiritose che usiamo tutti quotidianamente per tirare avanti ed affrontare le difficoltà, e che qui ammorbidiscono la sceneggiatura senza rompere quell’atmosfera pesante ed incombente che è stata creata.
Ognuna delle donne ha alle spalle un difficile vissuto che ne ha forgiato il duro carattere, che ogni attrice ha saputo far suo. Spiccano, così, i lati più negativi da esibire senza fronzoli allo spettatore, senza però soffocare quelli migliori, la forte femminilità e la profondità d’animo nascoste dietro una corazza ispessita dalle vicissitudini della vita. Vicissitudini che emergono attraverso una brillante sceneggiatura, emozionante, ben raccontata ed appassionata.
L’ottimo cast ci presenta uno spettacolo riuscito, frutto di un palpabile affiatamento e di una profonda complicità nata tra le artiste, che con armonia e passione hanno presentato ogni personaggio dandogli il giusto spazio.
Ciascuna attrice diventa a tutti gli effetti “il personaggio”. Da ognuna sprizzano femminilità, delicatezza, coerenza, come pure incoerenza, fragilità e durezza. E se le donne interpretate da Gegia, Valentina, Manuela, Sabrina ed Elisabetta spiccano immediatamente per le loro forti personalità, caratteristiche e sfumature, Eugenia e Giulia, le protagoniste più imberbi, dovranno aspettare per emergere. Il loro personaggio crescerà nella storia, abbandonando la spensierata giovinezza per evolversi e trasformarsi sotto i nostri occhi in donne mature, raggiungendo con la loro recitazione la stessa intensità delle colleghe.
Tutto risulta molto realistico e crudo. La vincente sceneggiatura di Gianni Quinto è coadiuvata da dall’ottima regia della sensibile ed attenta Siddartha Prestinari, che aggiunge il suo caratteristico ed inconfondibile gusto personale, a tratti evanescente e surreale.
Le ragazze, in alcune scene, danno vita ad una monotona e meccanica gestualità che mi ha riportato in mente quella di “Tempi moderni” di Charlie Chaplin. Posizionate dietro un velo bianco illuminato, suggestivamente spiccano le loro sagome che ripetono ossessivamente quei movimenti tipici della catena di montaggio. Movenze che le uniformano, trasformandole in un unico ingranaggio, in esseri robotizzati senz’anima, sviliti e spersonalizzati, preda del giogo di un potere sfruttatore.
È solo attraverso il dialogo e lo scontro che si rivedono emergere le loro individualità. Insomma, due efficaci rappresentazioni registiche: una della donna serva, l’altro di quella libera.
Altra particolare ed originale idea della regia è quella di inserire dei momenti di voluta confusione controllata. Un tocco artistico, dove i dialoghi sono resi volutamente confusi ed incomprensibili, a cui viene aggiunta una colonna sonora; una sorta di danza tribale che evidenzia la parte primitiva ed arcaica in cui sono precipitate. Un annichilimento mentale che le schiaccia e le rende succubi dell’ambiente lavorativo. Spiccano così, attraverso questo espediente, sia il gruppo/tribù che il singolo individuo nel suo aspetto più animalesco che ne svilisce la femminilità. Tutte le donne sono chiaramente soggiogate dal potere del padrone (peraltro uomo) che cerca subdolamente di metterle una contro l’altra per arrivare ad ottenere i propri propositi.
Se lo spettatore avesse l’opportunità di scegliere chi esautorare tra le sette donne, non riuscirebbe a fare un’equa scelta. Ognuna di loro ha un valido motivo per meritare il proprio posto, così come uno per perderlo. Tutto sembra predestinato da un funesto karma che le soggioga e che vediamo rivelarsi attraverso i loro errori nella vita.
Lo spettacolo funziona perché in poco tempo va dritto al punto, anzi ai punti, svelandoci tutta una serie di retroscena: la politica, il femminismo, l’egoismo, l’attivismo, lo svilimento del potere operaio e dell’immagine della donna; sottolineando lo strapotere del padrone con il conseguente indebolimento sia del sindacato che della classe operaia. Ad emergere con fatica è però sempre la figura della donna, forse ancora non completamente consapevole della sua forza interiore e rigenerante. Un essere supremo che si palesa attraverso la sua umanità, tra incertezze e debolezze certo, ma sempre generosa e dalla grande forza d’animo.
Teresa è una brillante incarnazione della lupa romana: schietta, genuina, verace e profonda. È la rappresentante del gruppo, cela un grande segreto che la svilisce agli occhi delle altre, che ne sono venute a conoscenza. Ha un carattere forte e determinato; “navigata”, combattiva, è però rassegnata all’evidenza dei fatti. Il personaggio è presentato da Sabrina, una bravissima attrice che riesce a trasmetterne il vigore e la profondità.
Gegia è Isa, una burbera ma simpatica donna che ha tutta la famiglia sulle spalle (anche qui uomini, marito e figli sfaccendati). Diretta, sagace e pungente, partorirà in continuazione spontanee e pungenti battute assolutamente divertenti. Nel personaggio si ritrova la tempra di questa attrice che già conosciamo e amiamo.
Manuela Villa, con la sua capigliatura rosso fuoco che ne rispecchia l’animo battagliero e vulcanico, ha alle spalle un grosso problema familiare che si ripercuote sulla sua vita e sulla sua economia. Manuela ci restituisce una donna temprata dalle difficoltà che ha imparato a reagire, e che seppure abbia trovato qualche scorciatoia discutibile nella vita per lenire il suo dolore, presto dovrà fare i conti con il passato e sarà messa alla gogna dalle altre. Un personaggio vero e profondo con tutte le sue belle contraddizioni, ben rappresentato da questa brava attrice.
Valentina Olla, anche lei credibilissima nella sua parte di donna omosessuale, è provocatoria, rude, sfrontata. Proviene dalla periferia romana e si esprime con un linguaggio che non va per il sottile. Valentina le dona aspetto, movenze e timbro di voce assolutamente realistici. Ylenia abbasserà la guardia per un suo toccante sfogo, egregiamente espresso da Valentina in cui rivelerà tutto il suo profondo dolore. Abbandonata dalla madre in tenera età, vive tra sensi di colpa e un forte dolore irrisolto che esterna con aggressività e asprezza. Valentina sa restituirci il dramma di questa donna con tatto e delicatezza in maniera sublime, restituendo giustizia al personaggio.
Elisabetta Mandalari è nei panni di una ragazza incinta, piena di fisime e timori che sta abbandonando senza rendersene conto. Il suo aspetto ancora acerbo ed adolescenziale si sta trasformando per diventare una madre e una donna in grado di prendere finalmente in mano la sua vita, staccandosi anche dalle sue dipendenze emotive (anche qui c’è di mezzo un uomo). Questa del lavoro non è l’unica situazione tragica che attraverserà, ma le precarietà incontrate le serviranno per lasciare il bozzolo in cui si nasconde. Elisabetta conferisce a Sabina un simpatico accento umbro; ci incanta, ci tocca, ci fa ridere, commuovere ed emozionare. Davvero una bella prova.
Se delle più giovani parlo per ultimo non è certo perché le considero tali: Eugenia Bardanzellu è Martina, una ragazza dall’aspetto alternativo che sembra uscita da un centro sociale da cui prende le idee rivoluzionarie. Ingenua ma combattiva, piano piano prende posto con il suo personaggio per raggiungere l’ intensità manifestata dalle sue colleghe più grandi. Seppur impersoni una ragazza visibilmente delicata e fragile, dimostrerà di essere la donna più sicura e decisa del gruppo. Questa dolcissima e minuta artista ci restituisce un essere umano semplice e profondo.
Per ultima, ma anche lei assolutamente non ultima, Giulia Pertini nei panni di una ragazza ucraina di nome Elsa. Per tutto lo spettacolo si esprimerà in un italiano dal forte accento dell’est. Dolce, timida ma anche determinata, porta con sé i sogni che vuole realizzare. Lei rappresenta tutte quelle donne dell’est Europa emigrate per cercare fortuna. Attraverso la sua intensa recitazione, ci fa assaggiare la sofferenza e la solitudine di chi ha abbandonato il suo paese, la famiglia e gli affetti, inseguendo la speranza. Assolutamente credibile e vera, tanto da riuscire a farci sentire il rumore dei suoi sogni che si sgretolano di fronte a questa brutale realtà. Brava.
Brave tutte. I loro brevi ed intensi monologhi strappano applausi e qualche lacrima in questa riuscitissima prima al cospetto di noti personaggi dello spettacolo che hanno saputo cogliere l’intensità e le indiscutibili doti delle artiste.
Dalla sceneggiatura alla regia, dalle musiche alle luci fino ai costumi e alla scenografia, si avverte una complicità sinergica che riesce a rapire e coinvolgere lo spettatore attraverso una bellissima storia.
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