Regia di Pietro De Silva.
Con Patrizia Loreti, Matteo Fasanella, Bernardino De Bernardis, Salvatore Ricci, Mariano Viggiano, Giorgia Lunghi.
Cinquantaquattro è il numero della smorfia napoletana che rappresenta la famiglia.
Siamo davanti ad una commedia simpatica, leggera ed assai divertente che coinvolge tre fratelli dai nomi di battesimo assurdi: Gertrude, Genesio e Godefrido. Nomi scelti dai genitori, molto praticanti e legati fortemente alle tradizioni religiose, che sono stati ripresi dai santi del giorno di nascita dei figli, Nomi che hanno funestato l’adolescenza di questi ragazzi che, oggi maturi, hanno deciso di cambiarli in Beatrice, Federico e Roberto.
I nostri però non hanno fatto i conti con un impiegato dell’anagrafe burbero e scansafatiche, e neppure con i loro timori reverenziali ed atavici nei confronti dei genitori opprimenti e con i sensi di colpa per questa scelta.
Il tutto viene raccontato da una sceneggiatura fruibile e leggera; molto è dato agli attori, che particolarmente espressivi, manifestano subito i caratteri di ognuno, rendendo alquanto simpatici i personaggi e spingendo la commedia che si adatta ad ogni tipo di pubblico.
All’inizio, la personale regia di Pietro De Silva rompe gli schemi e a sipario chiuso, ispirandosi al metateatro, inaspettatamente fa entrare in scena i ragazzi con il folle impiegato direttamente in sala, davanti al pubblico. Questa scelta inevitabilmente avvicina lo spettatore attirandolo, grazie anche alle capacità degli artisti, dentro la scena e immergendolo da subito nella storia.
I tre fratelli utilizzano dialetti diversi ereditati dai vari parenti: il napoletano, il romano e il siciliano, ma li usano con molta discrezione ed al momento giusto.
Godefrido/Roberto (Mariano Viggiano in alcuni momenti ricorda addirittura Troisi; senza mai esagerare, però, mantiene una sua personalità schietta e diretta.
Genesio/Federico (Salvatore Riggi) è quello più imbranato, un po’ goffo ma sincero, spontaneo e dolcissimo.
Gertrude/Beatrice (Giorgia Lunghi) ha un approccio molto risoluto, ma si troverà impelagata in una particolare situazione con l’impiegato, dal carattere ruvido e spigoloso. Nello svolgimento delle vicende rivelerà anche la sua natura più delicata.
Patrizia Loreti è nei panni della madre; è un’attrice nata, immediatamente accalappia ed affascina il pubblico con la sua nota e caratteristica recitazione, così originale ed inimitabile che la sua casa sembra essere il palcoscenico.
Fa coppia con un altro artista dall’ altrettanta personalità, Bernardino De Bernardis, il padre di famiglia dallo spiccato accento partenopeo che esprime una vasta gamma di espressioni esilaranti e imbattibili. I due insieme funzionano benissimo, sono divertenti ed irresistibili.
Matteo Fasanella è l’addetto dell’ufficio anagrafe Mario Rossi (e come lo volevamo chiamare?!) e suo malgrado diventerà parte attiva in questa storia. L’attore giocherà con il suo personaggio su due piani differenti: dapprima quello del classico impiegato pigro e svogliato, poi entrerà di prepotenza all’interno di questa particolare famiglia con un ruolo e un atteggiamento del tutto differenti.
Una bella scenografia, che riproduce l’appartamento a Milano dove i tre fratelli sono andati a vivere per fuggire al controllo dei genitori, fa da cornice alla storia. Interamente costruita con il bianco e il nero, sottolinea il contrasto tra i ragazzi e i loro genitori: due mondi ormai lontani e opposti ma che, tutto sommato, continuano a manifestare un legame che non potrà mai essere davvero reciso.
La simpatica commedia nasconde quindi uno spunto di riflessione che non si palesa immediatamente, ma solo dopo aver divertito e coinvolto lo spettatore ignaro. Ci troviamo davanti ad un confronto tra generazioni.
Decidendo di cambiare il loro nome senza dire niente al padre e alla madre, i fratelli dimostrano di non aver ancora reciso quel cordone ombelicale, che la distanza da casa non ha minimamente assottigliato. Se è vero che i genitori, piuttosto tradizionalisti, non riescono a guardare avanti, è anche evidente che i figli sono immaturi e ancora profondamente condizionati dall’educazione e dal legame affettivo che si manifesta con un timore reverenziale. Pur sembrando fortissimamente desiderosi di cambiare vita e identità a tal punto da scegliere la vigilia di Natale come momento per festeggiare la ri-nascita di sé stessi con i loro nuovi nomi, in realtà restano imbrigliati nella loro storia familiare caratterizzata dalla mancanza di dialogo che li porta a tenere nascosta la loro scelta ai genitori.
Tra espedienti comici e momenti più intimi e morbidamente drammatici, la commedia esprime la necessità di ognuno di definire una propria identità e di essere sé stesso.
Consiglierei lo spettacolo alle famiglie, perché possono trovarvi spunti di riflessione e un’occasione per un confronto libero.
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