Teatro Marconi
Di Luigi Pirandello
Regia Claudio Boccaccini
Compagnia Ass. Cult. Pex
Con Felice Della Corte (Controne il mago), Silvia Brogi (Ilse la contessa), Marina Vitolo (Sgricia), Marco Lupi (Conte), Fabio Orlandi (Cromo), Titti Cerrone (Mara Mara Maddalena), Marco Pratesi (Battaglia), Andrea Meloni (Diamante), Anastasia Ulino (Quaqueo), Michele Paccioni (Milordino), Joele Attianese (Duccio Doccia).
Quest’ opera è considerata il testamento spirituale ed artistico di Luigi Pirandello, purtroppo incompiuto, perché l’autore agrigentino morì prima di terminarlo. Si tratta di un’ultima testimonianza della sua profonda ricerca teatrale ed introspettiva giunta al culmine. Pirandello in questo testo allude alla progressiva e costante decadenza culturale della società e allo smarrimento di valori che ne consegue. Qui viene affrontato il conflitto tra il Potere, l’Istituzione, la Cultura e la Poesia.
I Giganti rappresentano il potere e le leggi che governano la realtà, l’istituzione che non riesce a causa dell’ ignoranza o dell’ ipocrisia a lasciare spazio alla cultura e alla poesia. Ci sono poi gli Scalognati, persone semplici ma confuse, e la Compagnia della Contessa, che attraverso un gruppo di attori smarriti rappresenta la volontà di riaffermare la poesia e il teatro in questo continuo degrado.
Sia il Teatro che la Poesia sono destinati a fallire in una società che li dimentica come dimentica anche gli individui; solo in questo non luogo possono sperare e tentare di sopravvivere.
Le ultime parole lasciate in sospeso dal drammaturgo prima della sua scomparsa sono: “Ho paura, ho paura…” Pirandello, prima di morire, lasciò indicazioni al figlio Stefano su come finire l’opera. Di fatto, saranno i posteri che attraverso la profonda analisi artistica daranno un finale al testo. Sembra che lo stesso destino lo abbia voluto lasciare incompleto per dare questa responsabilità a chi sarebbe venuto dopo, magari in attesa del trascorrere dei tempi, a dimostrazione che le cose in futuro non sarebbero cambiate e offrendo così una chiave di lettura aperta.
Personalmente ho trovato i “Giganti della montagna” uno dei testi più complicati, criptici e controversi di Pirandello, rappresentato in una maniera esasperatamente surreale e profondamente drammatica con un retrogusto ironico e farsesco. In esso si ritrovano gli echi di altri scritti di Pirandello come “Il figlio ritrovato”, “Sei personaggi in cerca d’autore” ed altri, come se Pirandello volesse fare un sunto della sua carriera artistica e del suo pensiero. Ho trovato forti elementi che riportano al teatro dell’assurdo ma anche alla tragedia greca, soprattutto quando gli Scalognati, raggruppati tutti insieme, sembrano voler fare il verso al “coro”, tanto caro a quella tipologia di teatro.
Undici personaggi in scena, rappresentati da altrettanti validi artisti, tra cui i già citati Scalognati, vestiti con degli abiti sgargianti e originali che mi hanno riportato alla mente, insieme ai loro atteggiamenti, gli stravaganti personaggi di “Alice nel paese delle meraviglie”, in contrapposizione con quelli della Compagnia attoriale della contessa, che invece vestono tutti di bianco come fossero dei fantasmi.
Persone, queste, che sembrano dei trapassati, ancora inconsapevoli di questa loro nuova realtà; si aggirano come sperduti, continuando a mostrare insofferenze, frustrazioni e rivalità di quando erano in vita.
La forte contrapposizione tra i due gruppi è manifestata nei comportamenti dei personaggi: gli Scalognati sono pieni di tic nervosi, sembrano degli ostracizzati, degli scartati, reietti della società sfuggiti e qui rifugiatisi che mantengono la loro purezza e spontaneità infantile.
Quelli della Compagnia degli attori della contessa sembrano più maturi, hanno alle spalle l’esperienza di vita che li ha forgiati, ma appaiono come degli eterni scontenti, dei delusi cronici, inappagati e dolenti alla ricerca di conferme e di una propria mancante realizzazione personale.
Tutti sembrano sospesi in un non tempo e in un non luogo onirico impregnato di fantasia. Qui si sviluppa questa vicenda paradossale che vorrebbe rispecchiare il dramma della nostra realtà, in cui il teatro e la poesia muoiono di fronte all’indifferenza dell’uomo.
In questa versione gli Scalognati parlano in dialetto napoletano con un approccio molto buffo, sembrano dei folli in un paese di pazzi. La Compagnia della contessa invece è più seriosa ma appare spiazzata, smarrita, mentre manifesta continue forti tensioni personali e di gruppo.
Claudio Boccaccini inserisce il suo tipico tocco cine-teatrale alla proposta, affronta questo testo coraggiosamente e lo riduce di un’ora rispetto all’originale.
Propone una scenografia completamente vuota e buia in cui inserisce questi sgargianti personaggi che prendono vita immortalati da un attento ed esaltante gioco di luci, creando un’atmosfera colma di forte pathos.
Complice l’uso di suggestivi effetti scenici, accompagnati da rumori di fondo spesso forti ed improvvisi che sprigionano grande tensione.
Suggestiva ed emozionante la trovata di inserire dei quadri viventi sullo sfondo. Grazie a un telo posto davanti agli attori, con degli efficaci giochi di luci verranno fatti risaltare i volti e le sagome sospese e fluttuanti, creando un’atmosfera irreale, ammaliante ed ipnotica.
I dialoghi sono intensi e molto serrati, si accavallano, si intrecciano, si inseguono e si scontrano come i personaggi in scena, così diversi e distanti tra loro. In questo testo si può ritrovare rappresentata quella confusione della società dell’epoca, riscontrabile anche in quella attuale, che uccide e svilisce l’arte. In questo non luogo, che sembra una sorta di Purgatorio, i nostri sembrano dover espiare le loro colpe.
Per farlo devono riuscire a portare in scena uno spettacolo e dare così una speranza sia alla cultura che alle loro anime.
Tipico di Pirandello è concedere un’opportunità ai suoi personaggi, una speranza, utilizzando questa dimensione parallela che li sospende nel tempo in attesa degli eventi.
Un testo a mio avviso complesso, ermetico, enigmatico, ottimamente supportato dall’attenta e ricca regia e da una maliosa messa in scena. Attori vivi, pulsanti, ricchi di personalità espressa attraverso gestualità, espressività ed un’esposizione fonetica molto originale.
Felice Della Corte mi ricorda Hamm, l’anziano signore cieco di Beckett in “Finale di partita”; l’attore porta sempre con sé quel suo aplomb inconfondibile. Silvia Brogi sembra una strega folle fuggita dal rogo, manifesta attraverso le sue grandi capacità una serie di forti emozioni spesso in forte contrapposizione tra loro con molta efficacia.
Titti Cerrone è una sorta di versione moderna di Mary Poppins inquinata da Harley Quinn, molto espressiva manifesta la sua spiccata personalità, che in parte associo a quella della sua collega Anastasia Ulino, che con il suo personaggio, si muove sulla stessa riuscita falsariga.
Marina Vitolo dà vita ad una figura particolare, fragile e al contempo inquietante che adotta un modo di esprimersi alquanto particolare e a tratti sofferto.
Marco Lupi ci propone un personaggio che volontariamente si condanna ad una vita da succube e schiavo delle situazioni in cui si trova, manifestando la sua innata e prorompente grande signorilità. Michele Paccioni, Joele Attianese, Andrea Meloni, Marco Pratesi e Fabio Orlandi, seppur contrapposti nei gruppi di cui fanno parte, si equivalgono con i loro personaggi di “contorno” in un continuo scontro psicologico volutamente confuso e teso che creano continuamente intorno a quelli principali.
Una proposta originale, complessa, particolare, introspettiva e profonda da gustare, da sentire e da assaporare più che da capire, aspettando che spontaneamente in noi maturi e lasci spazio ad un’intima, personale interpretazione.
Scrivi a: redazione@viviroma.tv