Teatro Elettra
Di Massimo Cardinali
Regia di Ines Le Breton
Luci e suoni di Alberto Buccolini
Con Maria Adelaide Terribili (Tiziana), Nicoletta Conti (Franca), Violetta Rogai (Giovanna).
L’Elettra è un piccolo, minuscolo e delizioso teatro a due passi dal Colosseo, che stasera ospita la storia di tre donne.
Hanno età diverse ed estrazione sociale ed esperienze di vita molto lontane, ma anche qualcosa in comune: il carcere per aver compiuto lo stesso reato. La prigionia allora le obbliga ad una condizione di stretta “vicinanza”, da cui il titolo.
Entrano in sala e si dispongono davanti al sipario chiuso, di fronte al pubblico, con spavalderia, come se dovessimo giudicarle noi, e con molta onestà e sfrontatezza si confessano.
Sono vestite di nero, impettite e con aria di sfida. In un monologo ci spiegano chi sono e cosa hanno fatto, come dovessero sostenere un interrogatorio davanti ad un’autorità giudiziaria. Lo spettatore viene allora trasformato in giudice mentre le ascolta, sobbarcandosi l’onere di giudicarle. Forse sperano di ricevere quella comprensione che non hanno avuto, e un giudizio diverso da quello della legge e dela società.
I tre monologhi sono molto intensi, già dopo poche parole abbiamo un quadro completo delle donne.
Tiziana è una prostituta che ha ucciso un cliente da cui si sentiva minacciata; Franca ha ammazzato il marito che la tradiva e sfruttava; Giovanna si è macchiata di omicidio nei confronti di uno sconosciuto che voleva abusare di lei.
La proposta sembra andare controcorrente in questi giorni in cui non si fa altro che parlare di femminicidio e della triste e cruenta fine di Giulia Cecchettin, da cui continuano ad emergere particolari sempre più raccapriccianti. In ognuna delle storie l’orco, almeno in apparenza, sembra essere la donna, ma in realtà è una vittima. Le tre hanno reagito istintivamente per proteggersi, seppur attraverso un atto riprovevole.
Nel trascorrere dello spettacolo realizziamo che Tiziana è una donna temprata dalla vita, calma, posata, in parte rassegnata, che ha maturato una certa stabilità espressa con i suoi atteggiamenti comprensivi e materni. La gestualità, l’espressività e soprattutto la cadenza della voce risultano sempre pacate e controllate.
Franca è la più fragile ed instabile; soffre di attacchi di epilessia che si manifestano quando è sottoposta a forti stress emotivi.
È molto ansiosa ed insicura e lo dimostra con atteggiamenti infantili, nascondendosi dietro alla sua immaginazione e cercandovi rifugio. Interroga i tarocchi per conoscere il suo e l’altrui futuro. Vive così una vita parallela in cui si rifugia rifiutando il suo passato.
Giovanna si dimostra ancora sociopatica, scontrosa, apparentemente dura e coriacea. Nasconde però una fragilità e una profonda sensibilità che probabilmente avverte come punto debole, perciò vi costruisce sopra una corazza impenetrabile da cui però trasuda la sua vera natura.
Tutte e tre le donne hanno anche questo in comune: un grande e profondo trauma. Come degli animali selvatici, messe con le spalle al muro, alle angherie di un uomo hanno reagito nel peggiore dei modi: l’omicidio. Paradossale e stridente soluzione, se si pensa che la donna è quella votata a donare e preservare la vita…
Le tre, terminata la loro arringa-confessione, si girano di spalle come per chiudere il rapporto con lo spettatore, che evidentemente rappresenta la sorda ed insensibile società giudicante che le ha ostracizzate. La regia le fa spogliare dei loro abiti civili come fossero una divisa che integra nella società, e glieli fa lasciare a terra proprio davanti ai nostri piedi, piedi come quelli che ne hanno calpestato i diritti.
Le loro scarpe, nere e non rosse, vengono ben allineate vicino a quella “pelle sociale” dismessa, riconducendoci al simbolo della violenza sulle donne.
Forse attraverso il colore nero vogliono alludere lutto, alla morte sociale. Nel carcere infatti si viene dimenticati, ci si trasforma in un numero della statistica e si perde il diritto ad esistere come membro della società. Questo rito di iniziazione spoglia l’essere umano della sua personalità per poi abbandonarla in uno stato subumano senza diritto di replica.
Sono delle sopravvissute ad una società maschilista e con il loro gesto di ribellione estrema hanno infranto non solo la legge, ma anche la morale comune, quella che vuole la donna succube e silenziosa.
Il tribunale le ha condannate, come è giusto che sia, ma nessuno ha tenuto conto che il loro tremendo errore è stato dettato dal disperato tentativo di rompere gli schemi precostituiti e di rifiutare il ruolo di vittime sacrificali e capri espiatori della società maschilista.
Nonostante la loro diversità, hanno in comune una profonda solitudine esistenziale e manifestano il bisogno di comprensione, e chi può capirle meglio se non loro stesse? Riescono così a creare una forte unione, e anche se non mancano dissidi e crisi, rimangono un gruppo compatto. Nel loro rapporto si palesano ancora di più i ruoli: Tiziana, privata dei figli, si comporta come una madre comprensiva soprattutto con Franca, delicata e un po’ svampita, sempre con i calzini spaiati, persa dietro a inutili e strane congetture; è invece comprensiva con Giovanna, che come una pecora nera rifiuta per non essere rifiutata e tiene tutti a distanza con fare rabbioso e scostante.
La scenografia ricostruisce una cella in maniera molto realistica, donandole un immagine sciatta e trasandata di contenitore di vite sprecate. Ci sono pochi oggetti che le tre condividono rivelandone il potere di catalizzatore e collante. Ci troveremo immersi nei loro bisticci, negli scherzi, nelle crisi, condividendone le speranze e gli sfoghi.
Quello che emerge è che a dover essere incarcerato è tutto il sistema che hanno avuto intorno, che non ha saputo proteggerle costringendolo a difendersi da sole nel peggiore dei modi e a precludersi ogni speranza di comprensione e redenzione.
Le attrici spingono molto sui loro personaggi per marcarne le differenze e farne spiccare il carattere, le debolezze e le speranze. Una musica ripetitiva e ossessiva le accompagnerà sempre, soprattutto per sottolineare momenti salienti o spezzare le scene. Suggestivo l’uso delle luci che crea pathos e tensione, in special modo quando escludono tutto l’ambiente circostante ed immortalano i personaggi per esaltarne la coscienza messa a nudo.
Un’accurata regia dirige le attrici che si muovono dinamicamente sfruttando ogni minima parte del palco, e le spinge a esternate tutte le loro capacità recitative.
La storia è drammatica, ma non manca di tenerezza e di qualche sorriso, l’epilogo invece è assolutamente inaspettato.
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