“Stringimi che fa Freud”, “Ben Hur”, “Trasteverini”, “In due sotto a ‘na finestra”, “Quattro”…
Sì, posso dire di conoscere artisticamente piuttosto bene Alessandro Salvatori, dopo averlo visto in questi spettacoli.
Attore poliedrico che sa essere divertente ma anche profondo e toccante, in grado di interpretare ogni ruolo, ora arriva a quella che ritengo un’altra bella prova ed esperienza, quella con il nuovo spettacolo “Come Cristo comanda”, dove eredita meritatamente il ruolo che fu di Michele La Ginestra, che a sua volta prende quello che fu di Massimo Wertmuller.
Vorrei fare quattro chiacchiere con lui, così come farebbero due amici davanti ad un caffè, visto che mi trovo a mio agio in sua compagnia e visto che si è dimostrato gentile e cordiale come sempre, e soprattutto disponibile a saziare la mia curiosità.
Alessandro, eccoci giunti ad una nuova avventura, lo spettacolo “Come Cristo comanda”:
Pronti! Bentrovato Riccardo, a te e ai tuoi lettori. Un altro capitolo, “Come Cristo Comanda”, una nuova storia da raccontare attraverso gli occhi di Stefano, il personaggio che Michele La Ginestra, autore e interprete dello spettacolo, ha voluto inserire nella pièce. Saremo in scena al Teatro 7 dal 27 febbraio al 24 marzo.
Sei un artista che spesso si è esibito sul palco dei teatri 7 e del 7 Off; direi una seconda casa, non è vero?
Senza dubbio. È da più di dieci anni ormai che conosco il Pubblico del Teatro 7 e da quando è stato inaugurato, anche quello del suo gemello più giovane. È importante condividere la stagione con colleghi e produzioni che coraggiosamente tentano di innalzare la qualità e il livello professionale del Teatro di commedia, spesso considerato il cugino povero del dramma e della tragedia.
Personalmente credo che il successo del Teatro 7 sia in buona parte merito della scelta di creare una buona varietà di prodotto, alternando giovani compagnie, personaggi importanti del panorama teatrale romano e progetti solidi come ad esempio è stato quello di “Ben Hur”: un testo meraviglioso, una regia coraggiosa, tre attori centrati.
La presenza costante ed il consenso del pubblico in sala premia e favorisce questo circolo virtuoso e ci invita a scommettere su spettacoli che oltre a strappare una risata, ingrediente necessario nella commedia, coinvolgono lo spettatore ad un livello profondo e personale, questo è quello che fa il Teatro 7 ed io sono felice di farne parte.
Sono abituato a vederti spesso in compagnia di Andrea Perrozzi, sul palco, invece credo sia la prima volta che ti esibisci al fianco di Michele La Ginestra, peraltro direttore artistico di questi teatri, oltre che autore del testo in questione e attore con cui dividersi il palco. Come vivi questa nuova esperienza?
In qualche modo anche stavolta Andrea non mi lascerà solo e questo mi rasserena; sarà sul palco con la sua musica e tutto il suo talento; la colonna sonora originale dello spettacolo, infatti, è scritta da lui, non mi sentirò abbandonato (ride).
Con Michele c’è un rapporto molto bello, è stata la prima persona ad aver creduto con sincerità al progetto “Perrozzi & Salvatori” ed il primo ad ospitarci sul proprio palcoscenico, personalmente gli devo moltissimo. In questo caso poi, come anticipato, è anche autore del copione e lavorare a stretto contatto con lui mi aiuta nella comprensione di ciò che realmente ha intenzione di trasmettere al pubblico. Anche nella veste di autore è molto generoso e paziente.
Com’è lavorare con Michele La Ginestra?
Questo è il terzo progetto che condividiamo; di “Quattro” e “Ago, Bianca e uno e basta”, due divertenti commedie di Adriano Bennicelli, ha curato la regia. Michele è un uomo accogliente e disponibile, lo è come collega in scena e come regista fuori dal palco, gli piace creare un’atmosfera piacevole e mettere a servizio della Compagnia la sua grande esperienza, è uno con cui si ride moltissimo.
Ho visto che c’è anche Ilaria Nestovito con voi…
Ilaria è l’interprete cui Andrea ha affidato la propria musica, un canto che immerge lo spettatore in una dimensione onirica, spirituale. È la voce che risuona da sempre intorno e dentro di noi e che, ognuno a suo modo interpreta e declina attraverso la propria sensibilità. Da un punto di vista narrativo è l’ elemento che scandisce lo scorrere del tempo e la catena di eventi che dal primo ingresso accompagna il pubblico verso il finale. Lei è splendida, ha qualità rare e al di là del talento è una compagna di giochi preziosa, ci siamo già incontrati più volte in “Trasteverini” e sarà un piacere lavorare ancora insieme.
Michele portò in scena questo spettacolo al fianco di Massimo Wertmüller; è una bella soddisfazione essere stato scelto per questo ruolo, non credi?
Certamente e lo ancora di più pensare di esser stato immaginato nel ruolo di Stefano, il centurione che lo stesso Michele ha portato in scena con grande successo, è un enorme attestato di stima e fiducia che non posso fare altro che cercare di ripagare.
Come pensi che reagirà il pubblico dopo aver visto lo spettacolo?
Bella domanda. Non è semplice fare previsioni, ognuno ha la propria sensibilità. Quello che mi piacerebbe è che il pubblico fosse toccato soprattutto dagli interrogativi che i personaggi si pongono di fronte ad un fatto enorme: la vicenda legata agli ultimi giorni della vita di Cristo. Il compito del Teatro non è dare risposte, quella è responsabilità dello spettatore.
Creare dibattito, scambiare opinioni, toccare le coscienze, questa è per me la funzione del Teatro e questo è quello che mi piacerebbe accadesse al pubblico in sala, vedremo.
Ti ho visto numerose volte sul palco e sono andato via sempre molto soddisfatto dalle tue esibizioni. Conoscendoti, so che mi emozionerai anche questa volta. Ma mi chiedo: che sensazione provi sapendo di fare uno spettacolo che è stato proposto da due attori del calibro di Wertmuller e La Ginestra?
Vedi, le sensazioni sono le solite, magari amplificate dalla responsabilità di prendere parte ad uno spettacolo che è sempre stato un grande successo. Conosco soltanto un modo di fare questo mestiere e anche stavolta mi sto avvicinando al testo, con tutta la curiosità, il rispetto e l’attenzione possibile, ma anche con il coraggio e la fiducia che merita.
Ogni attore ha caratteristiche diverse e pensare di ricalcare uno come Michele sarebbe un harakiri clamoroso, come per lui, credo, imitare Wertmüller. Saremo qualcosa di diverso e, sono certo, altrettanto vincente.
Dopo Ben Hur, dove interpretavi un finto antico romano che si guadagnava la giornata facendosi fotografare vicino al Colosseo, ora ti ritrovi “promosso” a vero antico romano. Che effetto fa? I due ruoli sembrano simili ma in realtà sono completamente diversi…
Sulla carta hai ragione, sembrano totalmente differenti. Due epoche, due situazioni e due sensibilità sulla carta opposte.
Milan e Stefano hanno voci e corpi diversi, posture diverse e diversi mondi interiori. Quello che mi intriga è come personaggi così distanti possano affrontare situazioni simili e in che modo cercheranno di uscirne vivi. Entrambi affrontano momenti di crisi all’interno dello spettacolo, momenti di consapevolezza o sconforto o euforia.
Anche questo è parte dell’immenso incanto del Teatro, buttare i personaggi nell’arena e vederli lottare per sopravvivere; c’è qualcosa di lievemente sadico in tutto questo. Inoltre, credo che quello che riuscirò a dare a
Stefano è in qualche modo anche figlio di quello che Milan mi ha dato e questo lo trovo affascinante. Ogni personaggio è in qualche modo figlio di tutti i precedenti.
So che sei nato a S. Saba, quindi sei un romano doc! Come vivi la tua romanità?
E visto che per lavoro non abiti più nella capitale, quanto ti manca?
Ma soprattutto cosa ti manca della tua città?
Per mio padre è sempre stato un vanto. Abitando all’interno delle mura Aureliane diceva che noi “Saressimo stati romani pure du’mila anni fa”. La nostra casa era un continuo omaggio a Roma e ai suoi figli prediletti, dai film di Sordi alla musica di Califano, dalle poesie di Trilussa agli spettacoli di Proietti, dai libri di ricette di Fabrizi al poster autografato di Totti.
Per me Roma è stata ed è una compagna di vita con mille volti e altrettanti corpi, sarebbe lunghissimo raccontarti di più ma ora come ora il mio rapporto con lei è piuttosto conflittuale.
Mi manca quello che ricordo della mia adolescenza e che ormai non vedo più, la sua capacità di essere sorniona ma attenta, sbruffona e accogliente, nonna e puttana.
Senti il peso di un’interpretazione così importante?
Stiamo parlando di un personaggio che è stato vicino a Gesù…
Non parlerei di “peso”, ma più del fascino e l’eccitazione di raccontare il vissuto di un uomo che era lì, durante quello che è senza dubbio l’evento che più di tutti ha sconvolto la Storia dell’Umanità. Indipendentemente dall’ interpretazione di ognuno, la morte di Cristo è stata qualcosa di unico e irripetibile.
Sono molto incuriosito dalle dinamiche e dalle concatenazioni di eventi che, attraversando un periodo, ci accompagnano alle porte del grande evento storico.
Credo sia una sorta di piccola mania la mia, l’interesse nei confronti del processo rispetto al risultato.
Stefano è un uomo che, nell’arco della narrazione, subisce una metamorfosi, quello che mi piace indagare sono tutti gli istanti nei quali la trasformazione si sviluppa fino a condurlo ad una presa di coscienza finale che, ahimè, conoscerete soltanto venendo a Teatro.
Sei credente?
A modo mio, come tutti. Credo che l’uomo abbia sempre avuto un disperato bisogno di dare un significato alle proprie azioni e che in questa ricerca Teatro e Fede svolgano un compito sovrapponibile. Il Teatro rispetto alla religione ha per me un linguaggio più accessibile e diretto, privo di intermediazioni, dove l’interpretazione è lasciata alla capacità personale di espressione e indagine. Mi trovo più a mio agio.
Interpretare questo ruolo ti ha messo in contatto con la spiritualità? Qualcosa di sopito si è risvegliato dentro di te interpretando questa parte?
Senza dubbio. Le domande di Stefano stanno diventando le mie e come lui mette in dubbio le sue certezze e la sua spiritualità, altrettanto mi succede di fare con la mia. Fa parte del gioco.
Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Questo spettacolo rappresenta la possibilità di aver a che fare con me stesso sempre un po’ più a fondo, credo sarà una tappa fondamentale per me.
Umberto Eco più o meno diceva che chi non legge ha soltanto una vita da vivere mentre chi lo fa può vivere molte vite, ecco io credo che chi ha la fortuna di recitare possa andare addirittura oltre.
Entrando ancora più a fondo nelle esistenze dei personaggi che si incontrano in scena si potenzia l’abilità di indossare i panni degli altri, di immedesimarsi nelle molte prospettive che una stessa situazione ci offre, si comprende meglio la complessità delle cose, di tutte le cose e di conseguenza si sviluppa la propria capacità di creare empatia nella vita reale.
Per questo il Teatro dovrebbe essere inserito in tutti i programmi scolastici, aiuterebbe a costruire una società migliore.
Perché il pubblico non deve mancare allo spettacolo?
Ah! L’ autopromozione, qualcosa in cui non sono particolarmente bravo. Posso dire che “Come Cristo Comanda” ha tutti gli ingredienti per essere anche stavolta uno spettacolo da non perdere. Il testo di Michele e la regia di Roberto Marafante già ampiamente rodati e apprezzati dal pubblico, le musiche di Andrea e la bravura di Ilaria Nestovito saranno le certezze. Dal canto mio cercherò di essere all’altezza del compito. Ci vediamo a Teatro!
Sicuramente le risposte a questa intervista susciteranno interesse e curiosità verso lo spettacolo, e che abbia fatto conoscere meglio questo fantastico artista che vi aspetta al Teatro Sette, dal 27 febbraio al 24 marzo.
Scrivi a: redazione@viviroma.tv