Pseudo-influencer che sfruttano la loro “popolarità” per cene e soggiorni gratuiti, ma anche bande senza scrupoli che vendono dietro ricatto follower e visibilità sui social mettono sotto attacco il mondo della ristorazione. A farne le spese è sempre il consumatore finale.
La polizia di Roma indaga su un giro di ricatti e minacce ai danni dei ristoratori che vengono di fatto costretti a pagare per avere delle recensioni favorevoli sulle piattaforme digitali più utilizzati dai clienti (Google e Tripadvisor, per capirci).
Se i ristoratori pagano hanno le recensioni positive. Se non pagano vengono affossati da una pioggia di commenti negativi. E falsi.
Il Gambero Rosso – che pubblica in esclusiva la notizia sul mensile in edicola dal 28 febbraio – ha potuto visionare documenti riservati e chat segrete sulle quali adesso farà luce la magistratura ordinaria.
Il mensile del gruppo enogastronomico più seguito in Italia racconta ad esempio le storia di Vincenzo Colao, patron del ristorante Ripa12 di Roma, che è arrivato a presentare denuncia alle forze dell’ordine per le minacce ricevute per non aver accettato la proposta ricevuta da un numero proveniente dal Bangladesh, il cui titolare dichiarava di essere un promotore professionale di recensioni Google: 100 recensioni positive al costo di 400 euro.
Senza arrendersi al primo rifiuto, i contatti sono proseguiti fino al ricatto: “Sono passati dieci giorni ormai e non accetti più recensioni. Il mio lavoratore inizierà a dare recensioni negative quando si arrabbia”.
Il racket delle recensioni è solo uno degli aspetti del Grande Ricatto digitale al quale i ristoratori italiani sono sottoposti in questo periodo di far west normativo.
L’altro sui quali il Gambero Rosso pone l’accento nella sua inchiesta è quello dei food blogger, un esercito di piccoli operatori dei social – niente a che vedere con i grandi numeri di Chiara Ferragni & co. – che di fatto taglieggia gli esercenti con un ricatto latente e implicito non dissimile da quello delle recensioni: “Pagaci (almeno il pranzo) e ti faremo pubblicità sui nostri canali. Altrimenti sparirai nell’oblio”.
E così, per uno spot, spesso non dichiarato, al proprio locale, i ristoratori finiscono per dover offrire una cena completa per due-tre persone, cui va aggiunto un fee di 70€ per un reel da un profilo con 10mila follower, con prezzi che salgono a seconda del seguito.
Un business che vale milioni di euro che sta drogando il mercato della ristorazione e il mondo del food, screditando il ruolo autentico della critica enogastronomica con recensioni tutte uguali e prodotte senza una profonda conoscenza di cibi, ingredienti e materie prime.
Contatti che sono arrivati anche a nomi autorevoli nel mondo della ristorazione, come Daniele Fadda, chef di Santo a Trastevere che a Gambero Rosso confessa, “sono persone che prima vanno in un locale e dicono che è tutto buono, il giorno dopo vanno in quello accanto e dicono lo stesso”.
E a volte, senza vergogna, “propongono cene gratis anche per tutta la famiglia in cambio di post e stories sui social”. Tra gli altri, anche gli chef di fama internazionale Arcangelo Dandini e Daniele Usai, ai fornelli dei ristoranti Il Tino (una stella Michelin) e del 4112 – QuarantunoDodici, entrambi a Fiumicino, a due passi da Roma.
L’inchiesta del Gambero Rosso mette in luce un business che sta danneggiando il mondo della ristorazione e screditando il ruolo autentico della critica enogastronomica con un impatto che va oltre il danno economico e che sta creando problemi “di credibilità, di reputazione, di immagine a un mondo che di questi requisiti vive e che su questi requisiti lavora quotidianamente per migliorare l’offerta e rimanere al passo con i competitor internazionali – come sottolinea il direttore Marco Mensurati nel suo editoriale –
A subire i danni maggiori alla fine non sono nemmeno i ristoratori ricattati, quanto i consumatori che si ritrovano parte inconsapevole dei raggiri finendo a loro volta per essere raggirati e ‘mandati’ a mangiare o a bere in posti privi di ogni valore”.
Ed è proprio un impegno costante “per offrire ai nostri lettori una critica enogastronomica sempre affidabile e pulita l’unica possibilità che rimane”, conclude Mensurati.
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