“UN UOMO DI 80 ANNI CHE HA LA FORZA DI UN BARBARO DI 20”
Il sogno da regista “Mi interessa molto. Sto studiando. Ho delle idee”
È un sognatore libero Alessandro Borghi, davanti alla platea dei ragazzi del Giffoni Film Festival, a cui regala tanti spunti di riflessione sulla sua carriera e sui suoi progetti.
Non solo attore ma anche produttore: è recentemente entrato nell’azionariato di Be Water, società di produzione fondata da Guido Maria Brera, conosciuto grazie all’esperienza di Diavoli: “La necessità di entrare in un processo produttivo viene dalla necessità che ho sempre avuto da attore.
Mi sono reso conto – spiega Borghi – che ogni volta che uno mi chiedeva di entrare in un film o in un progetto, se entravo troppo tardi, non mi andava bene, perché volevo essere parte di un processo dall’inizio. Be Water è un regalo che mi è stato fatto.
Il progetto di Guido Brera nasceva da una grande voglia di usare quel potere – il potere di cui parlo è sì, economico, ma anche di visione – per provare a cambiare le cose. Infatti, Be Water credo che sia l’unica società ad avere tutta la filiera produttiva al suo interno.”
È in forza di questo suo ruolo attoriale e produttivo che Borghi fornisce il proprio punto di vista sull’industria cinematografica italiana, in cui “c’è un grandissimo problema distributivo” e aggiunge “Certe volte vedo dare dei finanziamenti a dei film inguardabili, mentre vedo senza finanziamenti delle idee straordinarie di ragazzi molto talentuosi semplicemente perché fanno film meno commerciali.
Ma io mi sento di dire che il film commerciale non esiste più! Neanche più le idee commerciali fanno fare i soldi e ne abbiamo la prova in continuazione. – e aggiunge che quello cinematografico è – un sistema che ha a che fare con tantissimi criteri che non hanno a che fare con la bellezza oggettiva del film.”
Soluzioni? “Già se riuscissimo a chiudere questa cosa del tax credit sarebbe qualcosa, – dice l’attore – visto che quest’anno stanno tutti a spasso e non lavora nessuno per via di questa situazione.
C’è un problema. E io che adesso per fortuna per lavoro, incontro, parlo con ragazzi coetanei o più grandi che lavorano in altri paesi, in Spagna, in Francia, mi dicono che anche se ci sono dei problemi, fanno una quantità di film incredibile. E rispetto a questa mole, il 60% sono film che vanno bene al botteghino e vengono anche candidati a dei premi.”
Per Alessandro Borghi, in fieri anche progetti da imprenditore “affronto le attività imprenditoriali come quelle attoriali facendomi travolgere. Io non mi faccio spaventare dalle informazioni. Le colleziono, le processo e poi le tirò fuori in maniera organica.
L’importante è circondarsi di persone più competenti di noi”, e un sogno ancora da concretizzare alla regia: “ho pensato spesso all’idea di poter cominciare a dirigere un qualcosa. Mi interessa molto la regia. Ho iniziato a studiare anche solo per poter fantasticare. Però poi a me piace proprio tanto recitare.
E non so se magari poi provandoci invece capirò che era più semplice, ma io non so come fanno i miei colleghi a dirigere e recitare.” Ma sui dubbi non si scoraggia “Ho delle idee, mi piacerebbe fare una storia che non ti aspetti. Ci sono tanti temi che per me sono una zona di comfort, mi piacerebbe uscirne.” E sui sogni da non escludere aggiunge: “Mi piacerebbe fare musica. Suono male la chitarra e canticchio.”
Ma è sugli incontri professionali che gli hanno cambiato la vita – “Sicuramente Claudio Caligari, Valerio Mastandrea e Luca Marinelli” – che Borghi anticipa al Giffoni Film Festival qualcosa sulla sua ultima fatica cinematografica, “Campo di battaglia” in corso alla prossima edizione del Festival di Venezia.
“L’ultimo in termini di tempo che ha veramente cambiato la mia vita è Gianni Amelio, con cui ho fatto un film l’anno scorso, con cui andremo a Venezia, che è un uomo di ottant’anni che ha la forza di un barbaro di venti. Abbiamo fatto un film al freddo, -10 gradi in mezzo montagne, e non è praticamente mai stato seduto. Mi ha ricordato cosa vuol dire essere innamorati dell’idea di raccontare una storia usando il cinema. È stato incredibile. Non vedo l’ora di vedere altri 100 film di Gianni.”
Una personalità emotivamente molto attenta ai progetti a cui prende parte “C’era una parte di me in Aureliano in Suburra, metà del suo essere era molto simile a me, l’altra metà no.
Poi c’è piccola parte di me in Rocco, rispetto alle relazioni. E una parte di me in Massimo Ruggero in Diavoli, nell’essere in controllo, la sua precisione, l’essere schematico. – e aggiunge prendendosi in giro – praticamente una fusione tra uno che spara alla gente, uno che fa il porno e uno che fa finanza!”, che presta attenzione anche alle tematiche portate sullo schermo. In particolare sul dibattito cresciuto intorno a Supersex e al trattare la sessualità nel cinema in maniera sempre più diffusa, Borghi commenta “già il fatto che si facciano dei film su quella tematica è un segno.
Poi bisognerebbe farne di belli allora li fai veramente un favore al cinema, ma non solo. Il potere del cinema è quello di rendere una cosa immediata, vedi il caso di Stefano Cucchi.
Sul tema della sessualità è la stessa cosa. Se tu fai una storia che ha come tema centrale la sessualità ma che riesce a presentare dei personaggi nei quali riesci a riconoscerti, o riconoscere qualcuno di familiare, questo ti costringe ad avere a che fare con quella tematica in maniera intima, decostruendo dei preconcetti figli di un’educazione che è di un altro secolo, dove questo non si può fare e questo non si può dire.
All’interno del mondo dell’erotismo e della sessualità, deve semplicemente sentirsi libero” E allarga lo sguardo al ruolo sociale della cultura: “anche nel sistema scolastico, il fatto che non si parli di sessualità a scuola è un problema: mio figlio, che ora ha un anno e tre mesi, appena parla io gli insegno tutto! leviamoci il pensiero, ma che aspettiamo! poi mi chiamerà la maestra ‘signor Borghi, forse suo figlio…’ – immagina ridendo e continua – è bello pensare a un mondo in cui attraverso il cinema, la letteratura il pensiero si possa arrivare ad avere una società più libera.”
C’è una profonda tenerezza quando parla di suo figlio Heima: “Tra tutti i miei film, a mio figlio farei vedere ‘Le otto montagne’. E scelgo questo film rispetto a ‘Non essere cattivo’, perché ho sentito di essere più parte di un progetto, ero più consapevole – in ‘Non essere cattivo’ non sapevo niente, pensavo che l’avrebbero visto in quattro nel salotto di casa di Valerio Mastandrea. Di tutte le cose che spero lui amerà, spero che una potrà essere la montagna”.
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