Lapponia

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Teatro Manzoni
Di Marc Angelet e Cristina Clemente
Con
Sergio Muniz, Miriam Mesturino, Cristina Chinaglia, Sebastiano Gavasso

Regia di
Ferdinando Ceriani

Sono venuto al Teatro Manzoni per lo spettacolo pomeridiano “In altre parole” con Massimo Wertmuller e Maria Cristina Gionta, inserito nella “Rassegna internazionale di drammaturgia contemporanea”.

Una volta finito, decido di aspettare che un tremendo acquazzone mi permetta di uscire per tornare a casa quando nel foyer vedo arrivare Sergio Muniz. Non è una cosa che capita tutti i giorni, così dopo una veloce chiacchierata vengo invitato ad assistere al suo spettacolo che, mi dice, è particolarmente bello.

Nonostante la stanchezza, penso “piove a dirotto, sono con lo scooter e Sergio Muniz mi ha appena invitato”. Non ci penso molto, il tempo di ritirare il biglietto ed entrano Cristina Chinaglia, deliziosa e brava attrice che già ho avuto il piacere di conoscere, insieme a Sebastiano Gavasso, anche lui del cast. Poche parole e anche con Sebastiano entriamo subito in simpatia. Beh, diciamo che vivere il teatro in questa maniera è sicuramente un’altra cosa. Questi incontri lontani dal palco mi permettono di conoscere la personalità di ogni attore, la loro parte vera, libera dal personaggio.

A giudicare dal titolo mi aspettavo una commedia divertente. In realtà “Lapponia”, che ha sicuramente spunti ironici, è una proposta molto seria, con risvolti direi drammatici. La velata ironia concede di tanto in tanto qualche respiro e qualche risata di cuore tra la tensione.

Come ho detto al cast a fine spettacolo, ho avuto la sensazione di essere stato rinchiuso in un sacco e di essere stato colpito continuamente in ogni parte del corpo. Emotivamente, questo è quello che mi ha dato “Lapponia”. Uno spettacolo difficile da descrivere tanto è complesso, articolato e colmo di sfumature. Un viaggio emozionale in compagnia di un cast particolarmente affiatato e dotato, perfettamente sincronizzato nelle dinamiche in scena e capace di trasmettere forti emozioni.

Questo avviene sempre, anche quando gli attori non sono in primo piano. Le loro espressioni, gli ammiccamenti, i non detti sono quelli delle dinamiche usuali durante le accese discussioni tra familiari. Insomma, uno spaccato di vita riproposto efficacemente sul palco.

Ma andiamo per gradi.

Siamo in Finlandia, precisamente in Lapponia. Miriam e Sergio (userò i nomi degli attori) e il loro piccolo figlio Giuliano (che non vedremo, ma che sentiremo come la cuginetta Ania attraverso registrazioni fuori scena) raggiungono Cristina (la sorella di Miriam) e Sebastiano (lui finlandese) per trascorrere le vacanze di Natale insieme. Ania, la figlia di quattro anni di Cristina e Sebastiano, svela a Giuliano che Babbo Natale non esiste, e da qui la serata di festa prende tutta un’altra piega.

La rivelazione sembrerebbe la goccia che fa traboccare il vaso, la crepa sul vetro che finisce per rompersi, il chiodo che improvvisamente cede e fa cadere il quadro a terra… Tutte le criticità latenti interpersonali di ogni componente della famiglia prendono il sopravvento e si scontrano violentemente tra loro. Assisteremo a un vero e proprio scontro tra culture. Sebastiano è finlandese, dunque freddo, distaccato e razionale; Sergio è spagnolo, accondiscendente ed aperto; le due donne italiane, sanguigne e dirette. Le radici mediterranee vengono sollecitate dalle critiche del carattere nordico, ma vengono a galla anche le sopite tensioni familiari e l’inevitabile scontro caratteriale tra personalità forti e deboli, che sfociano in rimproveri e rinfacciamenti sempre più serrati.

Assisteremo ad una vera e propria battaglia verbale, ad uno scontro emotivo, psicologico e socio culturale tumultuoso con qualche risvolto divertente che però non fa abbandonare mai la tensione, fino a condurla ad un lento e progressivo deterioramento e delle convenzioni familiari dei quattro, che si troveranno nudi davanti a loro stessi oltre che agli altri, a fare i conti con i non soluti e le ipocrisie culturali, dapprima fronteggiandosi e sostenendosi in coppia, poi in un deleterio tutti contro tutti.

Alla fine ci porremo una domanda a cui saremo tenuti a rispondere e che Sergio Muniz a fine spettacolo ci porrà: siete a favore delle bugie o della verità?

lapponiaPensateci: quanto una verità può far male? È giusto dire a un bambino piccolo che Babbo Natale non esiste e togliergli quella gioia di vedere apparire i regali sotto l’albero? È giusto nascondere al proprio figlio di non essere un figlio naturale? Chi decide cosa è giusto e cosa no? Perché togliere piccole illusioni e sogni a dei ragazzini per farli crescere prima del tempo? E cos’è davvero la verità? È soggettiva o oggettiva? Quanto anche noi siamo portati a nascondere delle verità a noi stessi che agli altri? Ecco, diciamo che questo è il succo dello spettacolo.
Leggevo sulla presentazione: “Una commedia divertente ma graffiante per far riflettere ridendo”. Sì, è vero, si riesce anche a ridere, ma sono sempre risate amare che riportano lo spettatore alla tragicità delle vicende.

Il testo è difficile, intricato e sviluppato attraverso dinamiche complesse in cui gli attori si impegnano a tal punto da divertirsi (questo me lo hanno confermato tutti e quattro), vivendo il loro ruolo in maniera totalizzante.

Si arrabbiano, si rinfacciano velenosamente fatti passati, si scherniscono, si mancano di rispetto con una intensità tale da travolgere lo spettatore, che per un’ora e quaranta rimane annichilito sulla poltrona, turbato ed affascinato dalla storia ma soprattutto colpito dalla bravura e dalla disinvoltura con cui questi mostri da palcoscenico danno vita a un teatro con la “T” maiuscola!

Miriam è rancorosa, si esprime con una rabbia maschile. Diretta, velenosa, pungente, acida tanto da suscitare in noi antipatia, schiaccia e opprime il povero marito buono come il pane; anche per questo arriviamo a detestarla, anche se alla fine arriviamo a compatirla e a comprenderla per l’atteggiamento discutibile maturato dal peso di tante responsabilità.

Sergio è il marito bonaccione, succube della moglie perché eccessivamente comprensivo e accondiscendente. La sopporta ogni oltre limite umano perché, si capisce, la ama e preferisce lasciarle più spazio di quanto lei sia disponibile a fare con lui.

Sebastiano è impressionante, riesce a parlare in finlandese in più occasioni e non si tratta di grammelot, è proprio la lingua finnica! Fermo sulle sue posizioni, sottolinea fastidiosamente ma non ipocritamente le prese di posizione altrui divenendo provocatorio e destabilizzante nei confronti degli altri, fino al momento in cui sarà lui a trovarsi in bilico su una sua presa di posizione. Allora, inaspettatamente, farà un passo indietro…

Cristina in un primo momento sembra non voler prendere una posizione scegliendo la via diplomatica, ma al contempo è presente ovunque nella disputa, cercando di tamponare quella che sta diventando sempre più una situazione insostenibile. Con chi schierarsi? Con il marito o la sorella? Saremo angosciati per lei, ci farà tenerezza, almeno fino a quando prenderà una posizione netta.

Il testo è geniale, si sviluppa in maniera bilanciata dando spazio a tutti, sottolineando come in ognuno di noi, attraverso i personaggi in scena, ci possano essere dei punti fermi che però arrivano a traballare quando sono messi in crisi da visioni differenti dalla nostra.

Tutti diventano discutibili e tutti sono attaccabili, perché nessuno è al di sopra degli altri. L’educazione familiare o la cultura del paese di appartenenza che vincolano una persona, vengono messi continuamente in discussione. Così, ogni volta le situazioni si ribaltano, tanto che è impossibile trovare nei personaggi una figura realmente stabile che ci dia quella sicurezza sulla quale appoggiarci.

Alla fine si riesce ad affezionarsi a tutti, perché in ognuno ci si può riconoscere. Ecco, forse questa è la chiave di lettura. Riconoscersi in queste dinamiche senza necessariamente essere troppo critici e severi, accettare noi stessi per quello che siamo e gli altri per quello che sono.

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