Teatro Cometa Off
Di Veronica Liberale
Diretto da Pietro De Silva, Luci e fonica Elisa Martini
Con Mariachiara Di Mitri, David Marzullo, Marianna Menga, Lorenza Molina, Arianna Panieri, Daniele Trombetti
Vengo nuovamente a vedere questo spettacolo perché ne ho apprezzato particolarmente la dolcissima storia. Seppur nata dalla fantasia di Veronica Liberale, rappresenta lo specchio delle realtà in cui viviamo, quello di una società ricca di differenze sociali che creano attriti stridenti e scontri sia tra le diverse classi sociali che con le minoranze etniche.
Torno di nuovo a vederlo anche perché ho apprezzato particolarmente la regia di Pietro De Silva che rinnova completamente il cast, attingendolo dai giovani della scuola di recitazione di Massimiliano Bruno.
Dunque, la storia rimane quella che già conoscevo ma cambiano alcuni elementi che ho trovato molto piacevoli, uno su tutti la maggior presenza, come narratrice dei fatti in suggestivi momenti fuori campo, di Laurentina, la bimba che deve ancora nascere…, che nella prima versione appariva solo nella scena finale e quella dell’extra comunitario divenuta più predominante ed incisiva.
A mio avviso con questa scelta registica la figura di Laurentina come quella del povero afghano arricchiscono e impreziosiscono la vicenda. Tra l’altro, come mi diceva l’autrice, la scelta della maggior presenza di Laurentina, rispetta il copione originale.
Senza contare quanto l’interpretazione di Arianna Panieri abbia esaltato queste deliziose intromissioni attraverso una recitazione struggente e dolcissima, ma ne parlerò più avanti.
Se la versione registica di Pietro in “Pane Latte e Lacrime” (scritto anch’essi da Veronica) stravolgeva totalmente la messa in scena rispetto alla prima edizione che vidi (sì, sono particolarmente affezionato a quanto proposto da Veronica e Pietro), qui lui non fa grandi cambiamenti, semplicemente esalta maggiormente alcune scene e passaggi.
Con il suo indiscutibile gusto e la sua sensibilità, sottolinea i momenti topici e riempie di umanità una scenografia essenziale fatta di due panchine della metro e due pannelli che indicano la fermata Policlinico, dove i personaggi rimarranno intrappolati, e quella che invece la direzione verso il capolinea Laurentina dove tutti sono diretti.
Pietro aggiunge un bel dinamismo ai suoi personaggi, che a volte sfondano letteralmente la scena non solo oltrepassando la linea gialla di demarcazione dove virtualmente sarebbero posti i binari, ma anche la quarta parete.
Il Cometa Off si presta particolarmente a questo espediente perché il palco è sul piano del calpestio mentre gli spettatori sono posizionati in una platea concepita a spalti che oltre a permettere un’ottima visione di Insieme, dà la sensazione di essere inghiottiti dalla scena.
Il resto lo fanno questi eccezionali ragazzi con una recitazione intensa che emoziona e nel contempo anche riesce particolarmente a divertire, senza però svilire il contenuto drammatico. Particolarmente curato è anche il gioco di luci che sottolinea con attenzione ogni scena ed esalta le espressioni dell’ottimo cast.
“Direzione Laurentina” rispecchia la realtà di una grande metropoli come Roma, ma che si adatta anche ad altre realtà. Non a caso il testo è stato esportato anche nel nord Italia, ovviamente con il titolo cambiato con il nome di una stazione locale. Questo a conferma di quanto si ispiri alla realtà, sia nei fatti raccontati che nei personaggi che ne prendono parte.
È la realtà di tutti i giorni, a cui ormai non facciamo più caso e di cui ci siamo, seppur con amarezza, abituati a vivere ignorandola volutamente o girandoci dall’altra parte quando ci sbattiamo il muso.
Chissà quante volte ci siamo chiesti, incuriositi mentre distrattamente aspettavamo l’arrivo della metro, cosa facesse o dove andasse quel ragazzo, quell’extracomunitario, quella donna, quel tipo strano o quel gruppo di persone, fantasticando prima di essere fagocitati di nuovo da impegni, preoccupazioni e incombenze.
Ma chi sono davvero quelle persone che sfioriamo sulle scale mobili o di cui incrociamo gli sguardi nel vagone?
Veronica Liberale, autrice del testo (e che compariva come protagonista nell’altra edizione), ha dato sfogo alla sua fantasia rappresentando a suo modo una possibile realtà.
Ha plasmato cinque diversi personaggi ognuno con i suoi pregi e difetti. Poi, per saggiarne le personalità o forse per concedergli l’opportunità di scegliere un’alternativa a quel destino che la società sembra avergli imposto, li ha imprigionati in una sorta di Purgatorio.
Come una divinità mitologica dispettosa, ha voluto metterli alla prova costringendoli a vivere una situazione paradossale per studiarne le reazioni. Poi, come fossero marionette, tirandone i fili si è divertita a giocare con le loro vite ed in seguito lasciargli il libero arbitrio per assistere all’evoluzione dei fatti.
Il risultato è simile ad un esperimento sociale, se riuscito o meno lo deciderete voi. La supervisione divina rimasta nell’ombra ha intanto mosso le sue pedine e le ha poste davanti a loro destino come poi vedrete nell’epilogo.
I cinque si trovano bloccati sotto terra alla fermata Policlinico, in direzione Laurentina, inavvertitamente chiusi dentro a causa di uno sciopero che non ha fatto i conti con loro, come se il fato li avesse ignorati, o forse al contrario, ha sapientemente deciso di usarli per mandare sia a loro che a noi un messaggio ed indurci a riflettere sui nostri comportamenti, le nostre scelte e prese di posizione.
In questo antro dove il tempo non ha più senso, si sgretola ogni convenzione sociale; ogni individuo è solo e non ha più la possibilità di essere supportato da qualcuno che lo incoraggi, lo spalleggi o ne prenda le parti.
È solo davanti ad altri individui nella sua stessa assurda situazione, obbligato a confrontarsi e a scontrarsi con loro. Così, se vuole uscire da questa impasse dovrà necessariamente abbattere i propri pregiudizi e collaborare con gli altri per formare un gruppo con il quale sentirsi nuovamente protetto.
Tra loro c’è una madre di nome Teresa (Lorenza Molina) ed una figlia, la giovane Immacolata (Mariachiara Di Mitri), in evidente stato avanzato di gravidanza.
Le due sono una coppia perfetta in scena, tra loro le dinamiche sono le stesse che vedreste in un quartiere disagiato: tensione, rinfacciamenti, reciproche battute pungenti e sarcastiche, espresse attraverso un dialetto romano essenziale e spesso sguaiato.
Lorenza piace perché avendo un’età non lontana da quella della figlia, ci si rispecchia; ha chiaramente alle spalle una vita dura e piena di rimpianti, non diversa da quella che sta per imboccare la figlia.
Dunque, la rabbia nei suoi confronti è il frutto della sofferenza e delle paure. E’ come se avesse davanti lo specchio di se stessa che critica, ammonisce e aggredisce, così come avrebbe voluto che i suoi assenti genitori avessero fatto con lei.
Mariachiara, schietta e diretta non meno di Lorenza, è più stabile e posata; agli eccessi affianca una ponderatezza che ne fa un personaggio dicotomico adorabile. Con i suoi spiccati punti di forza, le paure e debolezze è più vera della realtà. Semplicemente deliziose.
Entrambe sembrano provenire da una borgata di cui portano addosso tutte le problematiche sociali ed emotive. Lei è incinta non si sa di chi, la madre l’accompagna pigramente e distrattamente a fare un controllo medico mentre è alle prese con una forte depressione che la induce, per attirare l’attenzione, a parlare con i morti (beh, se è vero o meno lo scoprirete al teatro).
Nel gruppo c’è anche l’afghano Abused (Daniele Trombetti) fuggito dalla sua terra finita nelle mani dei talebani.
Sbarca il lunario cantando nella metro (anche se piuttosto stonato) o vendendo accendini e lavando i vetri delle auto ai semafori.
Daniele spicca a tal punto da insidiare il ruolo di personaggio principale. Esplosivo, toccante e comico, ruba continuamente la scena senza però eclissare i compagni. Si inserisce con uscite perfette e devastanti dal punto di vista comico. Grande.
Abused (il nome già racchiude il suo triste passato) viene subito pesantemente discriminato da una xenofoba, gretta ed ignorante, ma soprattutto insoddisfatta e sbandata guardia giurata di nome Manolo (David Marzullo ).
È antipatico quanto basta per il pubblico, che non può non associarlo a biechi personaggi destrorsi; con la sua grettezza è anche portavoce di una parte del popolo a cui viene data parola, ma una volta giudicato dalla platea si riscatta mostrando anche la sua parte sensibile e ferita. David piace in entrambe le vesti, che indossa perfettamente suscitando emozioni controverse, intense e profonde. Davvero potente.
Ciliegina sulla torta è l’avvenente snob che la guardia giurata soprannomina irriverentemente “cicalona”: Benedetta (Marianna Menga), che si scoprirà in seguito avere un segreto che la ossessiona.
La donna, con un atteggiamento da radical chic, snobba il gretto Manolo E mantenendo le distanze si schiera a protezione delle minoranze, in questo caso dell’afghano.
Marianna gioca con le emozioni e il cuore del pubblico. Afflitta e pungente, spenta ed infiammabile, paladina dei diritti dei più deboli, appare femminile e sensuale ma anche materna e sensibile, sofferta e ispida, dolce e disponibile.
Mostra una scorza coriacea in cui racchiude e nasconde tutte le sue delusioni e cicatrici che verranno poi alla luce, emozionando. Celestiale.
Il risultato di questo incontro è una voluta confusione in cui tutti sono contro tutti, ognuno mantiene la sua idea rigidamente entrando in contrasto con gli altri tra l’ indifferenza reciproca, le offese, le provocazioni, le prevaricazioni, le velate minacce che sfociano in un triste quanto amaro scontro fisico che si interromperà grazie ad un accidentale colpo di pistola.
Sorgerà un interrogativo che mi riporta alla mente il film “Sliding doors”: e se quello sparo, invece che andare a vuoto, avesse colpito qualcuno? Ecco allora crollare alcune sicurezze; la terra tremerà sotto i piedi di tutti, che cominceranno a realizzare quanto il dialogo, l’accettazione e la comprensione siano l’arma più appropriata per risolvere le tensioni.
Basta cercare di essere obiettivi, comprensivi, scendere dal proprio piedistallo eretto su false sicurezze e convinzioni e cercare di capire gli altri abbandonando il proprio egoismo.
I cinque si racconteranno; rimanendo sospesi in questo limbo, conosceremo le loro dure storie di vita, entreranno nessuno escluso nelle simpatie del pubblico che comprenderà dai loro vissuti cosa si nasconde dietro quegli atteggiamenti. Una chiusura dovuta alla paura del diverso e forgiata dall’ignoranza e dall’egoismo.
La giovane mamma Immacolata è inconsapevolmente il deus ex machina del dramma. Attraverso l’inizio delle doglie, sarà lei la chiave di volta che permetterà di creare nell’ eterogeneo gruppo di sbandati uno stato di armonia, comprensione e di serenità.
La bimba verrà alla luce in quello che sembra un antro, che forse vuole ricordare la grotta del Salvatore (avrete notato che i nomi scelti per le donne si ispirano alla nostra religione), che con la sua nascita rimette i peccati, riappacifica gli animi e riesce ad unire gli sforzi di tutti per riscattare se stessi e la relazione con gli altri. Una forma di purificazione che gli permetterà di rinascere dal ventre della terra come persone nuove.
Una seconda opportunità per essere migliore.
Ma finirà così?…
Bellissimo il monologo finale di Arianna, che interpreta Laurentina; nome più azzeccato non poteva esserci, visto che questo era il traguardo che tutti si erano prefissati. Ormai adolescente, ci racconta la sua storia di bambina venuta al mondo grazie al buon cuore di questa famiglia allargata così eterogenea. Arianna è la manifestazione della dolcezza incarnata in persona, il suo sguardo penetrante e la sua voce arrivano dritti al cuore, incantevole e delicata. Perfetta.
C’è spazio anche per la riconoscibile e piacevole voce fuori campo di Pietro De Silva in un importante scena nel finale.
Veronica Liberale ha una penna magica: facendoci ridere, e tanto, ci sbatte in faccia la realtà della società contemporanea dominata spesso dal pregiudizio, dall’indifferenza, dal non saper ascoltare e vedere negli altri quello che di bello c’è. Con una forte chiave umoristica riesce ad aprire la porta della speranza in un’umanità migliore attraverso i suoi personaggi; o forse vuole farci riflettere sul fatto che non siamo ancora pronti per costruirla?
E Laurentina? Forse non nascerà mai, o forse è già tra noi, magari con un altro nome…
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