Domenica 8 marzo, siamo abituati ad una Roma colorata del giallo della mimosa per la festa della donna e a centinaia di donne che festeggiano per le strade.
Ma Roma in questi giorni è vuota a causa della psicosi e dei vari decreti per la tutela della popolazione contro la diffusione del corona virus, che invitano la popolazione allarmata a rimanere a casa.
E così una bella domenica di marzo trova Piazza del Popolo piuttosto sguarnita di persone.
All’improvviso un sottile filo rosso appare sulla piazza, un filo che unisce una serie di ragazzi tra loro e che forma un ring virtuale, o forse un recinto virtuale che protegge da questo particolarissimo virus.
Sono un gruppo di giovani attori che a turno entrano in questa ragnatela rossa che li unisce tutti per recitare un monologo.
Si avvicendano tra loro ed attirano inevitabilmente un pubblico interessato ed incuriosito, che assiste ed applaude.
Si esibiscono mostrando le loro doti e non chiedendo nulla, nessun obolo nessuna offerta, gratuitamente ci elargiscono la loro arte.
È l’unico modo per esibirsi in pubblico, dopo l’ultimo decreto emanato dalle nostre autorità che chiude definitivamente i teatri, aggiungerei giustamente, ma senza però tener conto che questi ragazzi ora si trovano disoccupati.
Hanno dovuto lasciare i loro tour, i loro spettacoli, i loro palchi e con un po’ di paura per il futuro e un po’ di rabbia dovuta all’impotenza, sono scesi tra la gente per gridare e trasmettere attraverso la loro esibizione la loro passione per il teatro e il loro timore per futuro e per dire: “Noi ci siamo, esistiamo”.
Non sanno cosa accadrà a quello che fino a qualche giorno fa era il loro lavoro.
Purtroppo lo Stato non ha preso contromisure per tutelare questi lavoratori che rimarranno a spasso per chissà quanto tempo e che non godranno del beneficio di nessun ammortizzatore sociale.
Se troviamo un supermercato chiuso, uno studio medico, un ufficio pubblico chiuso, ci si preoccupa, o ci si arrabbia.
Ma se è un teatro a rimanere chiuso?
Si girano le spalle, si torna a casa e si trova un’alternativa alla serata.
Non pensiamo che chi ci lavora, così come l’indotto rimane senza lavoro.
È gente che ci diverte, ma non sono buffoni, è gente che ci fa piangere, riflettere, che ci fa dimenticare per un po’ i nostri problemi quotidiani, ma non sono perditempo sfaccendati.
Ci dimentichiamo che sono lavoratori che impegnano tutte le loro forze in questo settore e che spesso non hanno altre forme di reddito, che pagano le tasse come altri professionisti che hanno però deciso di essere al servizio dell’arte e della cultura.
Forse non sappiamo che per seguire la loro vocazione, hanno scelto quella che è una strada lunga e impervia, fatta di impegno, sacrifici e privazioni, senza sicurezze e che per questo vanno rispettati così come ogni tipo di lavoratore autonomo.
Non sono qui per protestare contro i divieti imposti, nè per inveire contro qualcuno, si sono stretti tra loro per darsi forza e per portare un messaggio a chi era lì per caso.
Ci chiedono di non lasciarli soli, ci dicono che quando questa emergenza finirà, saranno in teatro ad aspettarci, di andarli a trovare per vederli in azione su un palco, perché se qui all’improvviso senza essersi organizzati sono riusciti a farci saggiare le loro doti, a farci comprendere il loro amore e la loro passione per la recitazione, di certo su un palco, in uno spettacolo, innquel teatro che oggi rimarrà purtroppo chiuso potranno sicuramente darci di più.
Non dimentichiamoci di loro.
Matteo Nardone ha immolato con i suoi scatti la giornata in compagnia di chi si è esibito, alcuni nomi: Valerio Palozza Massimiliano Auci Arianna e Giorgia Serrao, Gianpaolo Caprino, Edoardo D’Antonio…
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