Modernizzazione di un classico di Horowitz scritto nel 1966.
Un’accusa caricaturale del voler essere sempre e comunque primi in ogni situazione, anche senza saperne il motivo, usando ogni stratagemma per ottenere l’ambita supremazia sugli altri: dalla psicologia spicciola all’ inganno, fino ad usare il sesso come forma di scambio o sfociare nella prevaricazione violenta per poter arrivare all’agognato traguardo.
‘Line’ di Horowitz sviluppa il tema del conflitto interiore ed esteriore per la conquista del primo posto di una fantomatica fila che non ha capo né coda e che probabilmente non porterà a nulla. Una metafora della vita.
I cinque bravissimi attori che si avvicendano innanzi a una striscia posta in terra che delimita il “primo posto”, sono disposti a tutto, anche a morire per mantenerne la posizione.
Un susseguirsi di inganni e sotterfugi in bilico tra il comico e il paradossale, per avere questa occasione di essere parte di qualcosa che dia senso all’esistenza di ognuno di loro. Il “secondo” è un perdente, chi esce dalla fila non è neanche preso in considerazione.
I personaggi, al limite del credibile, sono impegnati in azioni e pensieri che li collocano in una sfera irreale, da cartone animato, fino a diventare macchiette surreali.
Molly, la donna sensuale dura, motivata fino ad essere a tratti spietata, in questa versione si avvicenda con gli uomini in balletti improbabili ma gustosi e divertenti, tecnici e coreografici grazie alla sapiente esperienza di Sargis Galstyan, che costruisce ogni esibizione plasmandola sul carattere di ciascun personaggio sceso in lizza che la donna usa o cerca di usare a suo vantaggio in accoppiamenti virtuali, diventandone però succube.
Sargis, così, tocca una delle tematiche della commedia, l’arrivismo, sfruttando il sesso, e cura questi folli accoppiamenti virtuali mettendo il suo tocco personale e sapiente di coreografo e ballerino che lo contraddistingue in ogni suo spettacolo.
In questa commedia – parodia dell’essere Primo, ancora attuale oggi, viene ben sviluppata dalla sapiente regia di Raffaele La Pegna che sul palco è il saccente e incantatore Stephen accompagnato da Francesco Sgro, ovvero il buggerato ed ingenuo Fleming, Francesca Antonucci, la sensuale e dall’aspetto retrò anni 50/60 Molly, Marco Barbato nell’acido Nolan, e il buffissimo Lorenzo Girolami nei panni del nerd cornuto e contento Arnall.
Tutti si immergono in discorsi assurdi, esasperati, intricati, coinvolti in un azione continua, una reazione a catena che raggiunge il culmine in una scena in cui si sovrappongono fino a perdersi in se stessi; in una sorta di canone le loro voci si accavallano, si inseguono, si mischiano e si fondono in un sommesso lamento corale.
Tutti bravi, ma lo spettacolo non è alla portata di tutti, senza un’adeguata preparazione e conoscenza del testo si rischia di fare la fine del fuori coro, quando ci si trova ad ascoltare una barzelletta e mentre tutti ridono noi rimaniamo perplessi cercando di capirne il senso.
Poi quando torni a casa ripensi alla battuta e finalmente realizzi e cominci a ridere.
Quando non serva l’aiuto di qualcuno che ce la spieghi…
Lo pettacolo strappa numerosi sorrisi mentre intanto spreme a dovere il meglio della potenzialità degli attori in scena.
Il cast si dimostra ben affiatato e preparato e ognuno manifesta il suo carisma personale con indubbia professionalità.
Un ingranaggio di un orologio che funziona perfettamente.
Tutti arriveranno primi, nessuno di loro lo sarà, ma l’importante è crederlo per sentirsi vivo e realizzati anche rimanendo con un pugno di mosche.
Fondamentale è essere davanti a quella linea, linea che poi sarà divelta dal pavimento e che tolto il limite sarà sezionata e accaparrata da ognuno di loro che così finalmente si sentirà illusoriamente realizzato.
Per meglio comprendere il testo è d’obbligo scomodare lo stesso autore che in un intervista spiega la sua opera.
I personaggi:
Fleming tipo non molto intelligente di estrazione operaia, poco educato, uno dei tanti che vivono solo di tv e calcio.
Dolan il classico venditore arido e poco sensibile, Stephen un artista poco concreto, Arnall un piccolo borghese introverso e timoroso, marito di Molly, ambiziosa e prevaricatrice nel rapporto con marito e sugli altri.
Quando Stephen vuole morire, gli altri si rifiutano di ucciderlo.
Le scorrettezze, i tradimenti seppur accettati hanno un limite, tutti devono sottostare a delle regole a cui tutti loro ‘devono’ attenersi.
Così l’autore e creatore della commedia/dramma, fa le veci di Dio.
Il testo inevitabilmente tocca quindi anche la religione, oltre alla competizione e all’arrivismo.
Ma non c’è una manifestazione chiara e tangibile del materialismo, non c’è un identificazione di un fine preciso. Tutto è aleatorio, fittizio, nebuloso, virtuale.
La morale, o il messaggio profondo che ne consegue è quello che competere significa esistere e questo non può non ricondurci al dramma della vita odierna, dove però la corsa è mirata all’ autogratificazione e all’avere.
Questo virtuale tentativo di creare un mondo diverso in cui le persone debbono attenersi alle regole di un gioco più grande di loro, subisce l’influenza più giusta di un controllo esterno demiurgico, limitandone le azioni che potrebbero divenire cruente in un perimetro invalicabile che ne contiene e morigera gli eccessi.
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