TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona
“14 Wo(man)” è lo spettacolo che Carmen Di Marzo, talentuosa e deliziosa attrice, proporrà a breve al Teatro Testaccio. Si tratta di un monologo in cui si trasformerà per un’ora in una serial killer: Joanna Dennehy. La donna, con efferati delitti alle spalle, è ancora giustamente detenuta oggi in un carcere inglese.
Una cosa che mi ha colpito è la trasformazione che Carmen mette in atto sul palco. Non ho ancora visto lo spettacolo, ma solo un servizio televisivo che anche voi potete guardare al seguente link:
https://www.google.it/amp/s/www.raicultura.it/amp/teatro-e-danza/eventi/14-woman-con-Carmen-Di-Marzo-b49b4fdd-4ba6-41a4-8259-3b245eaf9a57.html
Oltre ad essere molto stimolato nel vederla indossare questi scomodi panni ed entrare nella mente di una donna disturbata, sono particolarmente interessato a scoprire come l’argomento verrà affrontato, a cogliere i lati oscuri del suo personaggio e ad assistere alla trasformazione di quest’artista dall’aspetto e dalla presenza lontani anni luce dal soggetto.
Mi sono dunque messo in contatto con questa Carmen Di Marzo, dal lungo ed entusiasmante curriculum artistico, che con molta disponibilità ha risposto alla mie domande.
-Tante sono le domande che mi rimbalzano in testa: perché hai voluto presentare questo personaggio?
La mia intenzione iniziale non era quella di portare in scena una serial killer. Volevo raccontare la violenza dell’uomo attraverso una storia originale. E incontrare la storia di Joanna Dennehy mi ha dato la possibilità di esplorare la brutalità del maschio, ma attraverso la donna violenta. Questa donna ricalca in pieno lo stereotipo omicidiario maschile, per comportamenti, impeto e desiderio.
-Perché hai voluto conoscerlo?
Nessun personaggio attraverso l’arte può essere ignorato. I grandi classici ci insegnano continuamente la lotta fra il bene e il male, nelle forme più sublimi e più atroci.
-Com’è nato questo progetto?
Mi sono imbattuta per caso in un documentario di Joanna Dennehy e ho avuto una folgorazione. La sua storia raccontava troppe cose che non potevano essere ignorate. La violenza maschile in un corpo femminile, la voglia di successo attraverso la morte, la dipendenza dai social, il buio della mente, la solitudine, la fragilità femminile smarrita.
-Hai un aspetto molto dolce, in contrasto con la serial killer che impersoni.
L’aspetto fisico di un attore non è mai un limite, se dentro sai trasformare il tuo mondo.
-Come hai fatto a trasformarti così?
Un duro lavoro che è durato più di un anno. Innanzitutto un lavoro di ricerca e di studio su questo tipo di soggetti. Poi un lungo percorso con la psicoterapeuta Francesca Selloni, la criminologa Raffaella Bonsignori e con il mio autore e regista Paolo Vanacore.
-Oltre alle tue doti di recitazione avrai fatto degli studi sul tema. Quali e quanto ti hanno impegnata per entrare nel personaggio?
Ho studiato moltissimo i soggetti serial killer uomini. Mi serviva lavorare sul maschile della Dennehy che comunicava proprio con una certa criminalità. Ma soprattutto ho cercato di mettere a fuoco come il maschile e il femminile poi si mescolano. E’ un lavoro che velatamente racconta anche una sorta di femminicidio, in quanto la parte femminile di Giovanna è completamente sepolta, o poco messa a fuoco.
-Ti affascina il mondo dei serial killer?
Mi affascinano i conflitti, che sono il motore del mestiere dell’attore. E lavorando su alcune tematiche oscure, si riesce a comprendere in modo ancora più potente la luce.
-Due anni fa avevi proposto questo spettacolo, com’è andata con il pubblico e la critica?
E’ stato un grande successo di pubblico e critica, principalmente perché la lotta tra il bene e il male esiste in ognuno di noi ed è costantemente in mezzo a noi.
-Il personaggio di Giovanna Denne ispirato a Joanna Dennehy può essere un pretesto per parlare di altri tipi di violenza?
Certamente. Infatti lo spettacolo racconta molto di più della storia di un’assassina. Si parla della violenza dei mass-media, della morbosità delle televisioni, dell’infanzia inquinata, del sesso come forma di potere.
-Perché uccide solo uomini?
Perché di fondo ha un rispetto per la capacità che la donna ha di procreare. E’ una donna che ama gli uomini in modo distorto. Vuole essere come loro per la loro forza, la loro capacità di dominare, ma poi inizia a odiarli perché il meccanismo della competizione e della prevaricazione progredisce.
-Sembra che il tema “serial killer” affascini sempre le persone, forse perché dentro ognuno di noi c’è una parte oscura?
Direi di si. L’attenzione verso questi soggetti è tanta, anche perché alcuni simulano molto bene la normalità e sanno integrarsi nella società.
-La criminologa Raffaella Bonsignori quando ha assistito al tuo spettacolo che impressioni ha avuto?
Raffaella Bonsignori mi ha onorata e ha apprezzato moltissimo il mio lavoro. Mi ha detto che avevo fatto centro.
-Cosa vuol dire “14”?
14 è un numero ricorrente nella vita di questa donna. A 14 anni scappa di casa, a 14 anni compie i primi reati, in 14 minuti compie i suoi delitti. Inoltre 14 nella simbologia dei numeri rappresenta l’esilio, la prigionia, la debolezza, il disequilibrio, l’ossessione.
-Quando Heath Ledger impersonò Joker in “Batman”, entrò talmente nel personaggio che sembra sia stata questa la causa della sua morte. Quanto il personaggio può influenzare un attore?
I personaggi possono turbare e destabilizzare, è verissimo. Credo però che la cosa più importante che un attore possa fare, sia portare dentro di sé il lavoro creativo meraviglioso che ha fatto per diventare qualcos’altro. Il personaggio poi va tolto come un soprabito.
Beh, è indubbio che questa chiacchierata mi abbia ulteriormente incuriosito e l’argomento affascinato. Dunque vi do appuntamento in teatro prima e su questa pagina poi con le mie impressioni sullo spettacolo.
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