Paolo Celli, 80 anni è stato lo chef dei divi di Hollywood dagli anni ‘50 agli anni ‘90. Ha cucinato per Frank Sinatra, Liz Taylor, Richard Burton, Francis Ford Coppola, Al Pacino.
Abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche battuta con lui per farci raccontare aneddoti e curiosità legate ai grandi attori americani e non solo.
Puoi raccontare ai lettori del ViviRoma come nasce la tua passione per la cucina?
La mia passione per la cucina nasce sin da piccolo, mia madre mi portava sempre con lei dalle suore del paese. Lei era addetta alle pulizie delle aule scolastiche e io, nel frattempo, stavo in cucina con suor Elena e suor Gaetana. Debbo tutto a loro che con tanta pazienza mi insegnarono a cucinare quando avevo 8/10 anni.
Come sei arrivato a Hollywood?
Sono arrivato a Hollywood per lavorare in una Farm Italiana, ero lo chef per la cucina Italiana. Lì conobbi Talia Shire, la sorella di Francis Ford Coppola, che mi presentò suo fratello (nel 1969/70) e mi portò a Los Angeles perché doveva girare “Il Padrino”. Tutto partì da lì.
Raccontaci qualche aneddoto o curiosità legata alle star di Hollywood
Coppola era un vero signore. Un giorno, durante una delle sue cene a Hollywood, mi chiese di fargli delle melanzane alla parmigiana perché tra gli invitati c’era George Lucas che avrebbe gradito quel piatto, ma mentre ero intento a preparare la cena mi accorsi di non avere il parmigiano così chiamai Francis e gli dissi che al posto del parmigiano ci avrei messo il pecorino. A quel punto lui mi chiese come avremmo potuto chiamarle e io gli risposi: “melanzane al pecorino”. Durante la cena, quindi, disse che le melanzane erano al pecorino e non alla parmigiana, ma la parola pecorino lui la pronunciava male e le chiamò le melanzane alla pecorina! Molti degli invitati erano Italo Americani e si misero a ridere e così nacquero le melanzane alla pecorina, che da allora sono passate alla storia.
Ricordo che durante i tre mesi passati a Roma per il Padrino Parte Terza Coppola aveva prenotato una saletta da trentacinque coperti per tre mesi. Ogni sera sembrava di stare a Hollywood. Questo adesso a Roma non succede più, la vera Hollywood sul Tevere era a Trastevere in vicolo del cinque al Ciak e al Manuia, ma preferivano mangiare da me. I grandi maestri della fotografia Tonino Delli Colli e Storaro erano sempre presenti come Sergio Leone e Gian Maria Volontè.
Ricordo anche che la villa di Coppola, dove avevo preso servizio come chef, era frequentata dal firmamento cinematografico tra cui gli attori del celebre film “Il Padrino” e, tra questi, il suo protagonista Al Pacino. Un uomo dal forte carisma e dalla energica personalità che ebbi il piacere di incontrare più volte quale commensale dei prelibati banchetti di cui, a casa Coppola, mi facevo carico.
Un giorno, dallo stesso “Al”, fui incaricato di preparare una cena a base di fagiani, per l’esattezza 5, donati da un suo amico cacciatore. La data della cena, su mia disposizione, venne fissata dopo 10 giorni, tempo tale da poter permettere alla carne di frollare.
Trascorsi quei giorni convocai Al Pacino e i suoi affamati amici. Tuttavia, vedendo la metamorfosi che la carne aveva subito e, soprattutto, al sentirne l’odore, non proprio invitante, la sorpresa e il disgusto di Al Pacino furono tali da indurlo a rifiutarsi di mangiarli.
Cosicchè ansioso di gustare quella prelibata pietanza in fretta e furia si procurò un altro fagiano chiedendomi di cucinarlo la stessa sera per lui.
A nulla valsero le mie proteste, nella consapevolezza che quella carne, preparata senza la dovuta frollatura, sarebbe risultata dura e insipida.
Così, in effetti, si rivelò una volta servita nel piatto di Al Pacino, che dovette soccombere ammettendo lo sbaglio.
Inoltre, poiché la tentazione della gola era per lui incontrollabile, finì per accettare di assaggiare la carne disprezzata poche ore prima.
La trovò squisita e quasi la divorò tutta da solo, lasciando l’altra al cane. A cena terminata mi ringraziò dell’ottimo pasto e, in maniera particolare, della lezione di cucina che gli avevo impartito. Mi piace pensare che quella succulenta cena e il piacere avuto nel goderne lo aiutò a dare il meglio di sé nel recitare la parte che poco dopo gli avrebbe regalato il premio Oscar.
Quale tra le star americane ti sono sembrate più alla mano?
Marlon Brando era il più simpatico, gli stava bene tutto, adorava molto le tagliatelle fatte in casa con una specie di ragù fatto di ritagli di coniglio e carne macinata. Delle volte, quando doveva portare a cena qualche sua amica, ma non ne aveva voglia mi dava la sua macchina pregandomi di dire che non si sentiva bene e che mandava me al posto suo per farle compagnia pagando tutte le spese. Beh, durante quel periodo più della metà le ho “acchiappate” credo che uno come lui non lo troverò più, un vero gentiluomo.
Mentre tra le star italiane quali sono quelle con le quali hai trovato più empatia?
Ero molto amico di Carlo Croccolo che conobbi quando andai a Torino, un’amicizia durata 50 anni. Anche la grande Wanda Osiris, il caro Alberto Sordi che spesso mi chiamava in cucina per dargli una mano, purtroppo non ci sono più.
L’esperienza professionale che ricordi con più piacere e soddisfazione?
L’esperienza più bella fu quando mi trovai in mezzo a tutti i divi di Hollywood, mi sembrava un sogno, se penso che 20 prima li vedevo solo sul grande schermo al cinema dove vendevo le bibite e gelati al mio paese Montecarlo (Lucca). Ho anche cucinato anche per Cita di Tarzan, incredibile il cinema si chiamava Paradiso.
Il tuo ristorante “il Ciak” a Trastevere è sempre stato frequentato da molti personaggi dello spettacolo internazionale e non. Ce ne puoi parlare?
Il mio ex Ristorante il Ciak a Trastevere l’ho lasciato nel 2009. Lo inaugurai nel 1972 e da allora è passata tutta Hollywood sul Tevere, ma non sono mancati i nostri attori italiani.
Durante quegli anni io andavo continuamente a Los Angeles a volte mi chiamavano per delle cene importanti Frank Sinatra, Liz Taylor, Sylveter Stallone, Mat Dillon, Al Pacino, Coppola, Ernest Borgnine, Steve McQueen, George Lucas ed altri.
Poi, naturalmente, tutti questi artisti quando venivano a Roma per lavoro passavano a trovarmi. Era molto facile incontrare VIP al Ciak. Coppola quando veniva andava sempre in cucina, gli piaceva cucinare e deliziare gli ospiti con il cibo cotto da lui. A volte i clienti mi chiedevano chi fosse quel signore con la barba, lo scambiavano per mio fratello, ma quando rispondevo che quel signore era Francis Ford Coppola rimanevano tutti a bocca aperta.
Come pensi sia cambiata oggi la “dolce vita” o, più in generale, il mondo dello showbiz?
La dolce vita degli anni 70 credo non tornerà più. Ho dei ricordi indelebili di quegli anni. Se penso a Renato Zero che quando faceva tardi, dopo lo spettacolo, veniva a citofonarmi alle due di notte per mangiare qualcosa insieme alla sua compagnia. All’epoca io avevo una stanza dietro al cortile che fungeva da ufficio, dove rimanevo a dormire quando facevo tardi, e Renato sapeva che c’era un campanello nascosto al cancello d’ingresso dove poteva suonare quando trovava chiuso.
Gigi Proietti con gli amici, dopo cena, all’una di notte a locale chiuso, rimanevano dentro a giocare a carte, sino al mattino. Più volte li lasciavo giocare e io andavo a dormire. Mi lasciavano le chiavi sotto la porta. Naturalmente potevano servirsi liberamente da bere e da mangiare che pagavano la volta successiva. All’epoca era tutto più semplice i divi erano alla portata di tutti, a volte sedevano al tavolo dei clienti e mi facevano fare l’alba, tutta colpa del fiasco di paglia di vino di Montecarlo, il mio paese, che è sempre stato la caratteristica del Ciak.
Credo di essere stato l’unico oste che andava in Toscana a prendere la carne, la selvaggina, il pane di Altopascio e la grappa dal contadino che assieme al vin santo e tozzetti offrivo ai clienti a fine cena. Oggi te lo fanno pagare. Io lasciavo le bottiglie sul tavolo e loro si prendevano quello che gli pareva. Poi l’olio extra vergine preso direttamente al frantoio in Toscana, oggi ti danno quello del supermercato che costa tre euro, i ristoratori pensano solo a fare i soldi e la qualità ne risente.
Cosa rimpiangi di più del passato e cosa, al contrario, non ti manca?
Rimpiango il passato perché ero giovane e c’era più umanità, ma diciamo che mi sono tolto anche delle belle soddisfazioni, per esempio quando sono arrivato primo al campionato mondiale di cucina a Hong Kong in Cina, nel 1975, dove mi hanno dato il soprannome: “The Cucineman”
Grazie per essere stato con noi, un saluto per i nostri lettori.
Un forte abbraccio e tanti saluti per i lettori di ViviRoma, se capita qualche evento culinario oppure Hollywood sul Tevere sarò lieto di partecipare come ospite per raccontare con viva voce mille aneddoti.
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