“La variante inglese del Covid che tanta preoccupazione sta destando in questi giorni conferma quanto sostengo da mesi: il vaccino per un virus che è già mutato così tante volte rischia di essere poco efficace e addirittura pericoloso, meglio puntare sulla rivalutazione della medicina del territorio.
Lo dico da medico in prima linea: credo da sempre nel valore della vaccinazione ma oggi sono sempre più sconcertato davanti alle modalità con cui viene gestita questa epidemia”. Mariano Amici, il medico di base dell’Asl RM6 balzato agli onori delle cronache nazionali per le iniziative con cui da mesi contesta le misure varate dal Governo per arginare la diffusione del virus, ribadisce le sue perplessità davanti ad una indiscriminata vaccinazione di massa che definisce “non necessaria”, dai benefici ancora tutti da verificare ma soprattutto con forti dubbi sulla innocuità, e respinge l’accusa di essere “no-vax” e negazionista.
Dalla sua, una lunga formazione universitaria con tre specializzazioni e una invidiabile carriera prima in ambito militare come ufficiale medico, successivamente in ambito civile come dirigente dell’Unità Sanitaria Locale e poi ospedaliera con 15 anni di pronto soccorso e chirurgia d’urgenza: “La mia condotta è testimoniata da decenni di attività, sia nell’esercito sia nell’ambito universitario e ospedaliero e infine come medico di base al servizio dei miei pazienti – spiega Mariano Amici -: il valore della vaccinazione è innegabile e personalmente l’ho consigliata e praticata a decine di migliaia di pazienti ma rivendico, da medico, anche il diritto di invitare alla cautela perché non tutti i vaccini sono uguali e non tutti i pazienti possono reagire allo stesso modo. Questo non significa essere “no-vax” ma esercitare la professione in modo critico e coerente con i principi del giuramento di Ippocrate e nell’interesse esclusivo dei cittadini”.
Sui nuovi vaccini contro il Covid il dottor Amici ribadisce le sue perplessità: “I primi vaccini che ci offrono sono prodotti di terapia genica – spiega -: inietteremo acidi nucleici che causeranno la produzione di parti del virus da parte delle nostre stesse cellule ma, poiché è la prima volta che si effettua sull’uomo, non conosciamo le conseguenze di questa iniezione. E se le cellule di alcuni “vaccinati” producessero troppi elementi virali, provocando reazioni incontrollabili nel nostro corpo? I rischi della vaccinazione possono essere maggiori dei benefici – continua Mariano Amici – specie nel caso di un vaccino non sufficientemente testato circa l’efficacia e l’innocuità e da praticare in maniera indiscriminata, per una malattia la cui mortalità è prossima allo 0,05%. Gli effetti collaterali dell’inoculazione potrebbero derivare proprio dalle modalità di funzionamento del vaccino: “Le prime terapie geniche saranno con l’RNA, ma ci sono progetti con il DNA – continua Mariano Amici -. Normalmente, nelle nostre cellule, il messaggio viene inviato dal DNA all’RNA, ma in determinate circostanze è possibile il contrario, soprattutto perché le nostre cellule umane contengono i cosiddetti retrovirus “endogeni” integrati nel DNA dei nostri cromosomi. Questi retrovirus “addomesticati” che ci abitano sono generalmente innocui ma possono produrre un enzima, la trascrittasi inversa, in grado di trascrivere all’indietro, dall’RNA al DNA: quindi un RNA estraneo al nostro corpo e somministrato per iniezione potrebbe codificare DNA, altrettanto estraneo, che può quindi integrarsi nei nostri cromosomi”.
Per Mariano Amici, quindi, non solo c’è il rischio reale di trasformare i geni del soggetto vaccinato in modo permanente ma anche la possibilità, modificando gli acidi nucleici degli ovuli o dello sperma, di trasmettere queste modificazioni genetiche ai figli.
Ma quindi, in attesa di accertare efficacia e innocuità del virus, come fronteggiare il Covid? Per Mariano Amici la soluzione passa da una effettiva valorizzazione della medicina del territorio: “In queste settimane per screditare la mia azione mi hanno dato del negazionista – conclude il medico di Ardea – ma è una calunnia: ho vissuto sulla mia pelle cosa significa combattere questo virus stando ogni giorno al fianco dei pazienti, con terapie mirate e spesso alternative rispetto ai rigidi protocolli ministeriali, e sono convinto che proprio noi medici di famiglia possiamo svolgere un ruolo strategico. In tutti questi mesi nei pazienti del gruppo di medici che coordino non abbiamo avuto vittime, né abbiamo ricoverato alcun paziente ammalato e positivo al tampone. E noi assistiamo un bacino di oltre 6mila pazienti che è ben più di un ospedale: perché non tenere conto della nostra esperienza, invece di bollarci subito come ‘negazionisti’?”.
Una proposta che il dottor Amici formula anche in prospettiva futura e post emergenziale: “Si dovrebbe prendere questo nostro modello operativo – spiega il medico – come esempio per ristrutturare completamente il Servizio Sanitario Nazionale: una medicina del territorio ben organizzata può ridurre almeno del 90% i ricoveri in ospedale, sia per le malattie contagiose e/o diffusive (Covid compreso) sia per altri tipi di patologie, riservando all’ospedalizzazione solamente i ricoveri in reparti di elezione.
Ovvio che per fare questo dobbiamo mettere al centro il medico di base, figura assolutamente da rivalutare in quanto è il professionista che più di tutti può e deve conoscere il quadro clinico generale dei pazienti. A differenza dei medici ospedalieri, dei membri del Cts e dei cattedratici infatti è proprio il medico di base che, grazie ad una casistica di gran lunga più ampia, conosce le patologie contagiose e/o diffusive ed i loro meccanismi di trasmissione.
Così facendo, evitando inutili ospedalizzazioni, la Sanità potrebbe essere ristrutturata rivalutando i reparti da riservare ai ricoveri di elezione ed al contempo sarebbe possibile potenziare con i risparmi di spesa i centri diagnostici per offrire al medico del territorio la possibilità di far eseguire accertamenti diagnostici in tempo reale come può fare un ospedale.
Al professionista ospedaliero, invece, deve essere riservato il ruolo di medico nei reparti di elezione, lasciandolo libero di curare secondo scienza e coscienza, senza l’imposizione di un rigido protocollo terapeutico che gli discenda da direttive superiori, in quanto i pazienti non sono tutti uguali e debbono essere curati caso per caso, in funzione del quadro clinico che presentano poiché, diversamente, si rischia di arrecare gravissimi danni al paziente stesso come purtroppo verificatosi durante questa emergenza”.
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