Per la Festa della Mamma, l’Organizzazione lancia per il sesto anno consecutivo Rapporto “Le Equilibriste 2021”, da cui emerge il divario tra Nord e Sud anche rispetto alla condizione delle mamme.
Lazio al 13° posto nell’Indice regionale delle Madri, una posizione che occupa dal 2004. La regione è in fondo alla classifica nell’area dei servizi.
Il video con le testimonianze delle mamme: https://vimeo.com/544572173/1aba972f6e
Le mamme con figli minorenni in Italia sono poco più di 6 milioni e nell’anno della pandemia molte di loro sono state significativamente penalizzate nel mercato del lavoro, a causa del carico di lavoro domestico e di cura che hanno dovuto sostenere durante i periodi di chiusura dei servizi per l’infanzia e delle scuole. Su 249 mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90 mila su 96 mila – erano già occupate part-time prima della pandemia[1].
È questo il quadro che emerge dal 6° Rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021”, diffuso in occasione della Festa della Mamma, da Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – sulle mamme in Italia che, oltre a sottolineare le difficoltà affrontate dalle mamme in un anno tanto difficile, come il 2020, fa emergere ancora una volta il gap tra Nord e Sud del Paese.
Un quadro che già prima della pandemia raccontava un‘Italia in cui la scelta della genitorialità, soprattutto per le donne, viene ritardata o non praticata spesso a causa dell’impossibilità di conciliare vita familiare e lavorativa. Stando ai dati[2], nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la proprio la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze dei figli: assenza di parenti di supporto, elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (asilo nido o baby sitter), mancato accoglimento al nido, le giustificazioni più ricorrenti.
Un percorso a ostacoli all’orizzonte delle donne che scelgono di diventare madri, che detengono anche il primato delle più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (32,2 anni contro una media di mamme in EU di 29,4)[3]. E soprattutto fanno sempre meno figli: le nascite hanno registrato una ulteriore flessione, meno 16mila nel 2020 (-3,8% rispetto all’anno precedente). Un’eccezione è quella della Provincia autonoma di Bolzano, in testa per tasso di natalità (9,6 nati per mille abitanti), mentre la Sardegna registra il tasso più basso (5,1 nati per mille abitanti). Secondo l’Istat, soprattutto negli ultimi mesi dell’anno (novembre e dicembre), si è particolarmente accentuata la variazione negativa delle nascite rispetto al 2019: a novembre, infatti, il calo è del -8,2% e in quello di dicembre tocca addirittura – 10,3%[4].
“Il Covid ha messo tutti noi di fronte a un’emergenza prima di tutto sanitaria, ma che presto si è rivelata essere una crisi anche sociale, economica ed educativa. Le mamme in Italia hanno pagato e continuano a pagare un tributo altissimo a queste emergenze. I bambini a casa, il crollo improvviso del welfare familiare, dovuto alla necessità di proteggere i nonni dal contagio, il carico di cura e domestico eccessivo e la sua scarsa condivisione con il partner, misure di supporto non molto efficaci, sono tutti fattori che hanno portato allo stravolgimento della loro vita lavorativa. È importante ora indirizzare gli sforzi verso la concreta realizzazione di obiettivi che mirino, oltre che ad incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ad affrancarle sul fronte del lavoro non retribuito.” ha commentato Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children.
Una situazione che si è solo aggravata con il Covid, ma che già prima della pandemia vedeva molte donne lasciate fuori dal mercato del lavoro a causa dell’impossibilità di coniugare vita lavorativa e familiare e realizzazione personale. Le misure per creare un ambiente più favorevole alle mamme possono essere molte e coinvolgere diversi settori dell’intervento pubblico, su vari livelli di governo – spiega l’Organizzazione nel suo rapporto – ma devono seguire una politica organica per essere realmente efficaci. Ad oggi invece se il divario di genere nei tassi di occupazione è già alto nella popolazione generale, tra i genitori di figli minorenni registra livelli troppo elevati: nel 2020, è aumentato di mezzo punto, arrivando a 30,7 p.p. di differenza, con i papà occupati all’87,8% e le mamme occupate al 57,1%[5]. Inoltre, non solo le madri tendono ad essere molto meno presenti nel mondo del lavoro rispetto ai padri, ma la loro presenza, al contrario di quella dei padri, tende a diminuire al crescere del numero di figli.
“Questi dati ci dicono come non ci sia più altro tempo da perdere: sono necessarie scelte politiche che mirino alla costruzione senza più ritardi di un sistema di protezione, di garanzie e stimoli per superare una situazione che relega le madri unicamente alla cura dei figli e della casa. Il primo passo dovrebbe essere quello di introdurre un congedo di paternità obbligatorio, per tutti i lavoratori, di almeno 3 mesi e di creare un sistema integrato da zero a sei anni, che offra un servizio di qualità e gratuito in cui i bambini abbiano la possibilità di apprendere e di vivere contesti educativi necessari al loro sviluppo” continua Antonella Inverno. “Vi sono ora fondi stanziati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e in Legge di Bilancio ma è ancora da chiarire come intervenire in via prioritaria nelle aree più carenti, per creare un’offerta pubblica e di qualità in comuni dove mancano risorse e capacità amministrativa per gestire un servizio complesso come un asilo nido, un servizio però che può davvero essere un grimaldello per aumentare il benessere delle bambine e dei bambini, dei loro genitori e di tutta la comunità.”
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