I rischi che corre l’Italia
Di fronte al parere negativo della Commissione europea sul documento programmatico di bilancio, il governo italiano deve scegliere se riconoscere la validità dei rilievi ricevuti – condivisi anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio italiano, l’organismo indipendente di controllo in materia di bilancio – o se portare il paese al default e alla conseguente sospensione dello Stato di diritto. In questo caso i cittadini si risveglieranno in un paese allo sfascio, senza soldi e senza futuro.
“L’Italia ha un rapporto debito pubblico/PIL pari al 131,2 % nel 2017; è il secondo più alto dell’Unione europea e tra i più alti al mondo. Nel 2017 rappresentava un onere medio di 37.000 € per abitante. L’elevato stock del debito pubblico priva l’Italia del margine di manovra fiscale necessario per stabilizzare la sua economia in caso di shock macroeconomici e rappresenta un onere intergenerazionale che graverà sul tenore di vita degli italiani del futuro”.
Questo è uno dei passaggi della Commissione europea nel comunicato con cui esprime, per la prima volta nella storia dell’Unione nei confronti di uno Stato membro, un parere negativo sul documento programmatico di bilancio presentato dall’Italia. Italia che, in deroga agli impegni precedentemente assunti nel Consiglio europeo del 28 giugno e in quello del 13 luglio, pretende con questa manovra di indebitarsi ulteriormente in modo irragionevole, al punto che la prima bocciatura per il governo era venuta dall’organismo italiano indipendente di controllo in materia di bilancio, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Di fatto l’Italia, che è un paese che ha problemi strutturali molto gravi, sta scegliendo di non affrontarli per poter mantenere le promesse elettorali irrealistiche fatte dalle forze al governo; le quali decidono, scientemente, di non farsi carico delle conseguenze delle proprie azioni e, nel migliore dei casi, di ipotecare il futuro delle nuove generazioni; nel peggiore, invece, di mettere subito in ginocchio il Paese, facendolo precipitare in un default che, oltretutto, avrà conseguenze sistemiche imprevedibili.
Che gioco sta facendo dunque il governo italiano? Si prepara davvero al piano B e al cigno nero più volte evocato? L’Italia è dunque pronta a mettere a rischio lo Stato di diritto, visto che lo stato di emergenza è la premessa indispensabile per poter gestire il fallimento del Paese – perché il fallimento sconvolge la vita civile di un popolo, inclusa la necessità da parte del governo di prendere direttamente i soldi dai conti correnti dei cittadini per dar loro in cambio debito diventato carta straccia? Oppure il governo spera di piegare l’Europa con il ricatto del too big too fail – che peraltro significa anche troppo grande per essere salvato, se ci si spinge oltre il limite? Se lo pensa, si illude, come ha seccamente ricordato il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, grande amico del nostro governo quando si tratta di allearsi per indebolire la coesione europea, e coerente poi nel pretendere che si rispetti la linea “nazionalsovranista”: “La Commissione europea deve respingere la manovra italiana. Non siamo disposti a pagare i debiti degli altri Stati”. L’Italia ricordi il trattamento che riceve la Gran Bretagna nei negoziati per la Brexit: la porta è chiusa quando si pretende di mettere in pericolo i principi su cui si fonda il Mercato Unico; e lo stesso vale per l’Unione monetaria. La Commissione europea non ha il potere di – e tutti gli Stati membri non hanno l’interesse a – derogare al rispetto sia delle regole di finanza sana e sostenibile che sono state liberamente concordate, sia degli impegni di riforma strutturale che hanno riconosciuto insieme essere necessari per attrezzarsi alle sfide del XXI secolo. Entrambi questi atteggiamenti coerenti sono indispensabili per mantenere quel grado minimo di fiducia reciproca che è condizione necessaria per la sopravvivenza dell’Unione monetaria, e chi pretende di infrangerli si scontra con un muro.
In vista del polverone mediatico che verrà sollevato per coprire la situazione drammatica in cui stiamo precipitando – che spazierà dai complotti orditi dalla finanza internazionale contro il cambiamento in Italia fino alla fierezza di un popolo che non si fa piegare dai burocrati di Bruxelles, dallo spread, dai mercati, dalle banche, e così via – vale allora la pena di ricordare un fatto elementare, duro e reale come lo sono i fatti, contro cui poi si scontra la vita vera dei cittadini e degli Stati: fuori dall’Unione europea c’è un destino di Stato fallito per noi italiani, in cui possono prosperare solo la malavita organizzata e i malfattori. Rimanere coerentemente nell’Unione europea vuol dire rimanere ancorati alla civiltà.
L’Italia vuole un’Unione europea che abbia maggiore legittimità politica, che promuova maggiori investimenti, che crei condizioni di maggiore crescita anche per un paese con le nostre debolezze strutturali? Allora si impegni per completare l’Unione monetaria con l’unione politica, per creare un bilancio per l’Eurozona e – sotto la guida di un “Ministro europeo delle Finanze” – per darle competenze controllate democraticamente per agire politicamente a quel livello. La smetta con la retorica nazionalista, che costruisce muri in Europa e isola l’Italia; si batta con serietà per un’Europa federale. Tutto il resto è un inganno ai danni dei cittadini che si risveglieranno in un paese allo sfascio, senza soldi e senza futuro.
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