“24 ore”

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Teatro 7
Compagnia Teatro 7

con Sergio Zecca, Tiko Rossi Vairo, Francesca Baragli, Mariateresa Pascale , Cristina Odasso, Alessio Chiodini
di Michele La Ginestra e Adriano Bennicelli
Regia Michele La Ginestra

Quante cose si possono fare in ventiquattro ore? Quante ne possono accadere o si possono realizzare, ma anche perdere?

Ventiquattrore sono un’intera giornata, possono scorrere lente o inesorabili e sfuggirci di mano. Chissà perché tutti siamo convinti che il tempo perduto possa essere sempre recuperato rimettendo mano a tutte quelle cose che non abbiamo fatto per pigrizia o distrazione, o esprimendo alle persone che amiamo ciò che abbiamo taciuto. Purtroppo non sempre il tempo che passa ci dà queste opportunità, così viviamo con il rimorso.

Nello spettacolo “ 24 ore” troviamo una famiglia con un nonno (un trascinate Sergio Zecca) e suo figlio ormai padre (l’ evanescente, toccante e simpatico Tiko Rossi Vairo) , sua sorella (l’esuberante, spigliata e verace Francesca Baragli) , il figlio e nipote (il dolce e tenero Alessio Chiodini). Poi c’è la moglie di Tiko e madre di Alessio (Cristina Odasso), che nonostante l’apparente freddezza e distacco si rivela attenta e sensibile nei confronti dell’unica figura esterna alla famiglia ma pur sempre legata ad essa (scoprirete perché in teatro), ed infine una sensibile ed incantevole Mariateresa Pascale.

Si formano sei storie intrecciate attraverso legami affettivi presentati in scenette che un suggestivo uso di luci illumina al momento opportuno facendo risaltare i soggetti interessati.

Quella di stasera è la Prima, e devo dire che è andata benissimo, senza sbavature o intoppi. Anzi, la pièce è stata molto sciolta e dinamica, ben recitata ed è riuscita ad immergere in un’onirica e suggestiva atmosfera il pubblico.

Il cast è formato dalla compagnia del Teatro 7, che ha una caratteristica fondamentale, quella di funzionare sempre, anche su un testo non particolarmente brillante. Con la spiccata bravura degli attori, la preparazione, la coesione, la recitazione di indubbio valore, incassano sempre dei successi.

Le scene si incastrano bene tra loro e scivolano via fluide nella bella scenografia divisa in due sezioni: nella prima, quella più vicina al pubblico, che riproduce un albero posto su un lato vicino ad un muretto, e sul lato opposto degli sgabelli con un tavolino; nella seconda, in profondità separata da un telo scuro, appare solo quando debitamente illuminato, un lampione ed una panchina.

C’è molta naturalezza e scioltezza nelle dinamiche interpersonali e un ottimo lavoro di regia di Michele La Ginestra e del suo aiuto regia Giovanni Ardizzone, che indubbiamente si sono impegnati alacremente per portare in scena una proposta così complessa ricca di numerose sequenze e incastri. Gli attori si muovono con disinvoltura occupando tutto il palco e donano un piacevole dinamismo.

I dialoghi lasciano dei brevi e voluti vuoti che, a mio avviso, rappresentano la distanza emotiva, la non percezione o non accettazione di ciò che man mano si paleserà. Insomma sono ben scritti e aderenti a dinamiche e confronti realistici.

A tratti ho avuto l’impressione di una pièce un po’ criptica, ermetica ed enigmatica. Quella che sembrava la rappresentazione della quotidianità di un gruppo di persone, comincia a rivelare qualcosa di più, che risulta nebuloso.

24 oreTiko, il protagonista che prima appariva in secondo piano come posto in un’altra dimensione, pian piano prende corpo nella parte anteriore della scena, ben illuminato e non più offuscato come in precedenza dal telo divisorio che sembrava allontanarlo dalla realtà.

Da qui in poi sembra parlare del suo passato, come se rivivesse i suoi ricordi facendo emergere il suo stato interiore. Flemmatico e tranquillo, sembra nascondere una velata drammaticità per quelle che sembrerebbero essere le sue ultime ventiquattrore di esistenza.

La cosa lascia spiazzati perché in lui non ci sono né rassegnazione né rimpianto, semmai una nostalgica accettazione di quello che potrà accadere e che viene espresso con la simpatia e la leggerezza tipica di questo bravo attore.

Ho avuto la sensazione che il protagonista stia addirittura parlando dall’aldilà e che quello che accade intorno a lui sia già successo, o che quello che vediamo fare agli altri si stia svolgendo senza la sua presenza… ma è solo una mia personale impressione.

Ecco allora che i personaggi cominciano a destarsi, scrollandosi di dosso tutte quelle banalità e distrazioni della vita che li fagocitano quotidianamente distraendoli dalle proprie emozioni. Improvvisamente tutti percepiscono un cambiamento.

I personaggi, è chiaro, sono molto legati tra loro ed il testo dà l’opportunità ad ognuno di rivelare la propria natura a se stesso, agli altri, ma soprattutto al pubblico.

Questo particolare avvenimento risveglierà le coscienze di tutti, strappandoli dalla sfuggevole vita frenetica fatta di incombenze e consuetudini meramente materiali.

Credo che sia questo il messaggio della pièce: un invito a soffermarsi con più attenzione sulle cose importanti della vita come gli affetti, le necessità dello spirito e dell’io interiore, lasciando il giusto spazio alle cose terrene.

Tiko, con il suo lento incedere, lascia il segno arrivando a predominare con il suo incessante crescendo e la sua innata simpatia e semplicità.

Cristina e Mariateresa colpiscono con i loro confronti intensi, che rimarcano la profonda differenza tra le due: Mariateresa rivela un animo dolce e profondo, è un’appassionata musicista che tendenzialmente vuole esprimere con onestà i propri sentimenti più profondi, ama la sincerità, la vita e l’amore. Cristina, al contrario, si mostra perennemente distratta dal suo lavoro, soffoca i sentimenti prediligendo la propria vocazione di donna in carriera, e così facendo si lascia sfuggire non solo l’essenza della vita ma anche l’amore coniugale.

Ma in alcuni passaggi con Mariateresa dimostra invece una grande profondità d’animo. Forse ha solo paura dei sentimenti che prova.

Dolcissimo ed emozionante il rapporto tra Sergio ed Alessio, rispettivamente nonno e nipote. Sergio è un grande artista e dona una particolare verve a questo nonno così sprintoso ed eccentrico che rievoca quegli schietti e diretti personaggi della Roma del passato. Alessio è un nipote dolcissimo, anche in lui predomina l’indole romana; più morigerato del nonno, eredita la ponderatezza del padre.

È un piacevole ragazzo che Alessio ben interpreta e rende amabile con quella tenerezza che esprime nel rapporto con l’anziano, ma anche particolarmente delizioso con la zia Francesca.

Lei anche è molto impegnata nel lavoro, ma predilige concentrarsi maggiormente sugli affetti familiari e questo lo sottolinea in maniera egregia. Tenero anche il rapporto con il fratello Tiko.

I due trasudano un amorevole affetto fraterno ricco di passione. Francesca si pone caratterialmente a metà strada tra Mariateresa e Cristina, ma è più vicina per attenzioni e squisitezza alla prima.

Quello che è mancato, a mio avviso, è lo sviluppo del rapporto tra Sergio e Tiko (nonno e padre) e tra Cristina ed Alessio (madre e figlio) e forse anche tra Francesca e Sergio (figlia e padre). Questi non interagiscono mai tra loro lasciando un piccolo vuoto, forse voluto.

Una commedia che vuole essere dolce e leggermente divertente, e che vuole anche far riflettere, con un sorriso, sulle cose importanti della vita.

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