“Amleto in salsa piccante”

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Teatro de Servi
di Aldo Nicolaj
regia di Vanessa Gasbarri
con Massimiliano Vado, Danila Stàlteri, Pietro Becattini, Walter Del Greco, Gabriel Durastanti, Claudia Ferri, Maria Francesca Galasso, Veronica Milaneschi, Giuseppe Renzo

Maestro d’armi: Pietro Becattini
Assistenti alla regia: Francesca Bruni Ercole, Alessandra Nastasi
Scene e Costumi: Crew on stage
Luci e fonica: Cristiano Milasi
Produzione: StArt LAB

Per chi non lo conoscesse, l’autore del testo è nato nel 1920. È un drammaturgo italiano prolifico e spesso impegnato nel sociale, a tal punto da aver subito anche delle censure. Internato durante la guerra in Germania, si è poi trasferito in Guatemala come ambasciatore della cultura italiana e poi è ritornato in patria. Le sue numerose commedie sono rappresentate soprattutto all’estero, mentre il suo stile è costantemente maturato e volto spesso a criticare in modo ironico la classe sociale medio borghese.

Trovo delle similitudini tra Nicolaj e Cechov, entrambi fraintesi e interpretati diversamente rispetto al loro stile e contenuto.

Dietro alla loro drammaticità si nasconde in realtà una forte ironia e critica verso la società. Non diverso da quanto troviamo in questa commedia risalente al 1989.

shakespeare in salsa piccante

Credo dunque che Aldo Nicolaj sia un autore spesso travisato.

È vero che il teatro si prodiga spesso in rivisitazioni eccessivamente personali, ma ho visto questo autore in alcune proposte completamente snaturato, reinterpretato in maniera talmente personale a tal punto che la stessa sinossi pervenutami e che riportava fedelmente il pensiero dell’autore, strideva con quanto presentato in scena.

Ma in “Amleto in salsa piccante” c’è poco da reinterpretare, anzi, si può lasciare ampio spazio ad una buona regia come quella di Vanessa e ad un cast valido come quello che propone per farlo brillare e rendere così giustizia al lavoro dell’autore, che vuole con umorismo presentare Shakespeare a modo suo.

Criticando e ironizzando i suoi personaggi più noti, li lascia cuocere nel loro dramma ma predilige vederli da un’altra angolazione, quella più popolare delle persone semplici come i servitori della cucina che finiscono per dileggiarli e sgretolare quella fama di cui godono a suon di critiche, che li sveste di quella regalità con cui sono conosciuti per presentarli come dei sempliciotti, con i loro limiti, dubbi, incertezze e vanità.

Nel Medioevo, nel Rinascimento e anche nel ‘600 (periodi in cui solitamente si svolgono i drammi shakespeariani) le cucine erano un continuo andirivieni di servitori e cuochi alacremente impegnati per servire al meglio i propri signori e farli brillare nei loro grandi ricevimenti.

Un luogo caotico ben rappresentato da questa pièce, con la giusta ironia e leggerezza. Così che a mio avviso si adatta ad un pubblico digiuno di questo grande criptico autore inglese, spesso ostico ai più.

Uno Shakespeare tutto da ridere, dunque, quello che va in scena e che racconta le vicende di Amleto, Principe di Danimarca, in maniera inedita ed originale attraverso i piccanti e salaci commenti di chi fino ad ora aveva vissuto all’ombra di queste grandi figure e di cui nessuno si era mai preoccupato. Sono i numerosi cuochi e la servitù che finora erano rimasti muti e sconosciuti e a cui la sensibilità di Nicolaj ha dato voce.

Tra un piatto e l’altro, nelle cucine del castello di Elsinore la servitù racconta e si racconta in una storia coinvolgente ed esilarante, che più che in una tragedia si trasforma in una sorta di gossip paesano.

L’adattamento di stasera è ispirato all’idea originale dell’autore, forzando e esasperandone il lato grottesco come quello ironico, sfiorando a tratti il teatro dell’assurdo e con decise puntate su quello demenziale.

Una pletora di strani e sconosciuti personaggi si avvicenderanno ad altri ben conosciuti rappresentati in chiave piccante. Un cast ricco di nomi noti, volti conosciuti per chi frequenta il teatro.

Si muoveranno davanti ad una tavola imbandita ispirata alle fumose cucine di quelle epoche in scene che si aprono e chiudono raccolte in due atti.

Sono sempre molto scettico, e dunque anche prevenuto, quando vado a vedere spettacoli a sfondo storico perché il mio occhio è quello di un rievocatore storico molto attento ai dettagli, alle abitudini, all’ambientazione e all’oggettistica presentata in scena, così come alla rappresentazione di duelli e combattimenti.

Kafkiana e claunesca è infatti la coreografia con le armi, ovviamente ben lontana dal rappresentare una qualsivoglia marzialità, ma vista la faceta situazione in cui si svolge, è assolutamente calzante. Apro dunque una doverosa e sofferta parentesi sulla ormai screditata figura del maestro d’armi dei giorni nostri.

Figura che trova le sue origini nell’antichità e che viene svilita dal cinema e dal teatro. Il vero maestro d’armi non è e non può essere rappresentato da maestri di scherma moderna, da coreografi e tanto meno da stuntman o attori dalla blanda preparazione schermistica a cui non faccio una colpa, perché a loro volta caduti in mano di sedicenti “maestri” che traggono il loro insegnamento dalla loro adolescenziale fantasia marziale.

Il maestro d’armi, soprattutto nel Medioevo e fino almeno al Seicento, era una figura importante, sempre presente nelle corti per addestrare i rampolli reali o i nobili all’arte della guerra e della monomachia. Parliamo di figure altamente specializzate e preparate in questo campo, che si adeguano con il passare dei tempi alle nuove tecniche ed armi utilizzate, nonché al combattimento a mani nude.

Anche se oggi lo stesso vocabolario o le fonti sul web riportano che il maestro d’armi sia “colui che è esperto di armi bianche e preposto all’addestramento degli attori”, questo “esperto” nell’ambito dello spettacolo non conosce assolutamente, se non in maniera alquanto superficiale, i codici antichi che parlano di queste discipline.

Seppur vero che in Italia, anzi, in Europa questi maestri di scherma storica si possono contare su alcune dita di un’unica mano, sono personaggi completamente ignorati dallo spettacolo. Il risultato è che gli attori si ritrovano a scimmiottare incongrue e fantasiose coreografie che nulla hanno di storico, realistico e marziale.

Nel nostro caso, però, ci troviamo davanti ad una parodia ed il clownesco scontro proposto rientra nei canoni di quanto viene rappresentato; così anche i costumi, che seppur simpatici non rispondono se non approssimativamente ad un periodo storico ben definito, risultano però gradevoli ed amorevolmente confezionati.

Tutto cambia se invece vogliamo vedere questa proposta come commedia divertente che si dispensa dal seguire una filologia storica.

Il testo è molto articolato, complesso e lascia dunque spazio alla bravura degli attori che si presentano plateali, comicamente esagerati ed eccessivi e che la regia ha spinto affinché esprimiamo tutte le loro potenzialità. Si passa dalla classica recitazione forzatamente teatrale alla parodia drammatica dei personaggi più nobili, così elegantemente sviliti, a quella più diretta e farsesca ricca di espressività enfatizzata della servitù, che finisce per prendere il sopravvento sui grandi personaggi ridicolizzati.

Il cast

Massimiliano Vado è il capo cuoco, cita con dovizia di particolari da fare venire il mal di testa, una serie di ingredienti per realizzare arzigogolate preparazioni culinarie. Comicamente esagerato anche nei momenti più seriosi.

Si travestirà da fantasma indossando un’ armatura carnevalesca e spacciandosi per il padre morto di Amleto. Dopo averci dato un assaggio di vari timbri di voce impostati che denotano la sua preparazione artistica per interpretare lo spettro, finirà per scegliere un tono di voce e una cadenza che riconducono inevitabilmente ad un tributo per il grande Gassman. Poliedrico, eccessivo, plateale, istrionico, poderoso, centrale.

Danila Stàlteri indossa una parrucca rosso fuoco che ricorda la capigliatura del cartone animato Toffy. Con tanto di rossi sulle guance si presenta spocchiosa, altera, regale con un retrogusto comico, cercando di nascondere la sua natura più umana e semplice. Visibilmente scocciata della vita di corte che la impelaga in mille problematiche, si sfoga con la servitù. Travolgente ed incisiva, si alterna in parti farsescamente drammatiche ed altre più comiche con grande disinvoltura e bravura. Poderosa, appariscente, elegante e regale.

Giuseppe Renzo è l’Amleto, vacuo ed indeciso, che si aggira fluttuante con il suo “essere o non essere” sdoganato e adattato ad ogni frase citata in maniera artificialmente enfatizzata che ne sottolinea la pochezza di idee, l’insicurezza, l’ esitazione e immaturità. Il volto perso ed inconsistente che l’attore propone lo pone a metà strada tra il drammatico e il farsesco. Etereo, inconsistente, frivolo, strampalato. Bravo e divertente.

Gabriel Durastanti è Laerte, l’antagonista di Amleto con il quale lo vedremo impacciatamente duellare. Anche lui adotta atteggiamenti altezzosi misti ad altri più faceti. Ben si adatta al suo rivale con cui crea una coppia riuscita.

Pietro Becattini è semplicemente portentoso con il suo buffissimo Orazio, servile e sottomesso con Amleto; corre poi dietro alle servette. Istrionico e potente appare e scompare come un jolly, con grande capacità di invertire i ruoli da grottescamente drammatici a esageratamente comici. Istrionico, melodrammatico, concretamente e volutamente ciarlatanesco, assolutamente divertente.

Walter Del Greco è irresistibile nella parte del piagnucoloso attore ferito ed offeso dal pubblico di corte che non lo ha apprezzato. Copia discutibilmente clownesca con tanto di parrucca, trucco e vestito della regina interpretata da Danila, con la quale si accapiglia in un duello verbale divertentissimo. Un make up indecoroso e per questo assolutamente esilarante, pur apparendo solo nel secondo atto lascia la sua forte impronta. Stucchevole, pagliaccesco, caricaturale ed esagerato all’estremo. Iconico.

Il trittico di servette è qualcosa di spettacolare; i loro chiacchiericci, gli scambi di opinioni, la vitalità, la furbizia, l’esuberanza, il modo di civettare. Dietro la maschera di semplici serve, si nascondono invece la forza, la potenza e la schiettezza del prodromo della donna in via di emancipazione, lato che emerge soprattutto quando si confidano sulla loro intensa vita erotica e si ribellano al potere maschile.

Questa libertà mentale viene palesata con buffi paragoni e mezzi racconti quando non con espliciti riferimenti alle loro esperienze che coinvolgono tutti gli esponenti maschili della corte. Trovano sempre la forza di sparlare e di confrontarsi e anche sfogarsi per l’eccessivo impegno nel trasportare e cucinare le vivande. Nel gruppo troviamo:

Claudia Ferri, al solito deliziosa ed esuberante, in una parte dove appare molto loquace attraverso una recitazione ricca di sfumature. Risulta divertentissima con tutte le sue espressioni buffissime che propone. Irriverenti e salaci le sue mezze frasi, o quando si rimangia le sue esternazioni o le esprime a mezza bocca. Inconfondibile, esplosiva, vigorosa ed estrosa.

Con lei Veronica Milaneschi, non meno della collega, sciorina una serie di espressioni eclatanti riuscite ed esageratamente buffe, così come le sue esternazioni sulla falsariga di quelle di Claudia. Brillante, vivace, pulsante, frizzante.

Infine troviamo Maria Francesca Galasso che chiude il fantastico trio (ed interpreta anche una sommessa e svampita Ofelia), con i suoi andirivieni continui, la simpatica vocina stridula e gli atteggiamenti buffissimi che la rendono dolcissima, ma anche particolarmente effervescente e vivace come un folletto. Pungente, allegra, impulsiva e deliziosa.

Le ho trovate superlative. Una scena che mi ha colpito è quella in cui si spostano come delle civette da una parte all’altra del palco per ascoltare un discorso che le interessa particolarmente messo in atto dal fantasma e da Amleto.

Uno spettacolo che è un groviglio di bravi attori che si avvicendano velocemente e dinamicamente tra una scena e l’altra in una pantomima divertente e sconclusionata che sicuramente vi farà divertire ed apprezzare un cast di valore.

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