Con Antonio Conte e Alessandro Giova
Adattamento e Regia di Alessio Pinto
Aiuto Regia di Claudia Onofri
Costumi di Loredana Labellarte
L’ultima volta che ho visto Antonio Conte è stato in una commedia, al fianco di Marco Cavallaro, in “Amore sono un po’ incinta”, dove vestiva i panni di un personaggio davvero simpatico e divertente. Alessandro Giova, invece, l’avevo visto al “Festival dei nuovi tragici” in un monologo tragicamente divertente, e poi nel concorso “Autori nel cassetto, attori sul comò” con l’interessante proposta in versione corto del suo “Alieni nati”.
Stasera li ritrovo qui che vestono panni completamente differenti. Alessandro è uno scrittore, un libero pensatore, una sorta di filosofo politico schierato contro il regime vigente.
Antonio, dall’approccio burbero e con una prepotente fisicità, è invece un sicario, un boia di stato, un essere asservito al potere con il compito di porre fine all’esistenza dell’altro protagonista che, con le sue idee, infastidisce i poteri forti.
Alessio Pinto riadatta e ricolloca, in tempi moderni, un radiodramma scritto da Friedrich Dürrenmatt nel 1951. Il testo tratta un argomento sempre attuale: l’importanza della cultura, strumento che permette di scegliere, di pensare, di porsi in antitesi al potere.
Originalmente ambientato nella Seconda Guerra Mondiale, il testo viene riadattato in forma teatrale da Alessio, che elimina i riferimenti a quel periodo, ammorbidisce il dramma in alcune sue parti e lo rende più fruibile rispetto all’opera originale.
Il messaggio intrinseco sottolinea un concetto fondamentale: non esistono poteri buoni. Il potere, qualsiasi esso sia, finisce prima o poi per utilizzare la violenza per annichilire la cultura in quanto forma di libertà e di scelta che stimola il libero pensiero. La cultura è ritenuta pericolosa e destabilizzante per ogni forma di potere.
Potere che qui è rappresentato dalla figura del boia di uno stato tirannico, che subdolamente lo ha incaricato di recarsi di notte dallo scrittore per eliminarlo, preferendo una soppressione silenziosa e nascosta ad un processo pubblico, che darebbe inevitabilmente vita ad una serie di riflessioni del popolo, seppur soggiogato.
L’unica arma con cui può difendersi un pensatore, la parola, viene così soppressa e soffocata nel buio della notte. Il confronto tra i due è ben evidenziato; in poco meno di un’ora di spettacolo molto avvincente, arriva subito al dunque, eludendo inutili divagazioni.
La musica di fondo crea un’atmosfera in sintonia con il dramma; l’uso delle luci è alquanto suggestivo. Bellissimo l’effetto ottenuto da un’illuminazione laterale che evoca la luce filtrante da una finestra; forse rappresenta una lontana e vaga immagine di speranza.
Questo flebile chiarore illuminerà a turno entrambi i personaggi, dandogli un aspetto romantico e al contempo fortemente drammatico.
Lo scrittore, consapevole, attende il suo carnefice nello studio, tra i suoi libri che insieme agli scacchi rappresentano la temuta cultura. Una bella rappresentazione della situazione: vittima e carnefice sono come le pedine: possono essere mosse o sacrificate da un giocatore supremo in un gioco più grande di loro.
Quel soggiorno, allora, diviene una sorta di scacchiera in cui queste pedine umane si fronteggiano in una gara perversa.
Il fatto che lo scrittore sappia che il suo carnefice arriverà di notte, riporta inevitabilmente a pensare a ciò che accadeva in Argentina con i deparecidos, nella Germania nazista, nell’Italia fascista, nei paesi dell’est sotto il regime comunista…
Ogni dittatura, per agire, sceglie il momento in cui la vittima è più indifesa perché si sente più sicura: in casa, mentre dorme, quando è con i suoi affetti, nel suo ambiente. Così, può colpirla a tradimento.
È un modus operandi alquanto efficace, che racchiude un messaggio chiaro per tutti: nessuno è al sicuro.
Il nostro sicario, però, si presenta impacciato: entra in casa come un ladro maldestro e finisce per sottolineare la viltà e il pressappochismo del potere che manda un suo rappresentante alquanto discutibile a compiere la sua “giustizia”. Antonio è fantastico In questa duplice rappresentazione, quella di persona imbranata e quella di un uomo distaccato e serioso.
Anche questa è una sottile ed arguta trovata, perché ci mostra un uomo piuttosto comune, come tanti altri, in cui ci si può immedesimarsi e trovare delle affinità. Una figura di certo più familiare, più popolare di quella di uno spocchioso letterato.
Ognuno di noi potrebbe essere o diventare come lui. Apparentemente strampalato, nasconde una sua forte pericolosità, che grazie a questa presentazione passa quasi inosservata.
Veniamo quindi beffati da questa figura in maniera fine ed intelligente, tanto da cominciare ad apprezzarla. Inconsapevoli stiamo subendo una sorta di sindrome di Stoccolma.
Entrambi sanno perché sono lì. Così, comincia un acceso confronto. Con rabbia e paura, lo scrittore padrone del pensiero e della parola aggredisce verbalmente il sicario, provocandolo e accusandolo di asservimento, quasi per avere un ultimo sussulto di supremazia, un fiero canto del cigno.
Anche Alessandro è molto bravo nel suo ruolo districandosi ed evidenziando efficacemente queste dinamiche così contrastanti.
Il boia, vittima del potere, si difende rivelandosi una persona calma, posata, riflessiva; è un profondo intenditore delle sfaccettature e del carattere umano che ha imparato a conoscere uccidendo. Infatti, quando le sue vittime realizzano di essere innanzi al proprio imminente ed ineluttabile destino, appaiono per ciò che realmente sono, vere e trasparenti.
Ecco un’altra sapiente trovata che offre uno spunto di riflessione: fingere, mentire a se stessi, accettare tutto è tipico di una società pronta all’ asservimento di un potere repressivo.
Qui è molto chiaro il riferimento alla Germania nazista. Il popolo germanico fu convinto subdolamente ad entrare attivamente nelle dinamiche del nazismo, grazie ad una forma di persuasione ed un bombardamento psicologico continuo, che qui troviamo velatamente ed elegantemente rappresentato nel boia.
Questo moderno Mastro Titta è consapevole del suo ruolo infausto, come lo era il boia di Roma. Sa di agire all’ombra di un potere che gli conferisce un’autorità, ma sa anche di essere dipendente da un potere ingiusto che lo soggioga, lo usa, costringendolo a compiere atti riprovevoli.
È un uomo che non ha potuto scegliere e si è trasformato, suo malgrado, in un automa asservito.
La sua supremazia sulla vita o sulla morte degli altri è però solo un bluff. Può infierire sul corpo delle vittime, ma nulla può sulla loro mente e sul loro pensiero.
Il pensatore, attraverso la sua dialettica, cerca di risvegliare l’umanità sopita del killer, il quale si rivela più umano di quello che ci si aspetterebbe; è così che paradossalmente si accattiva le simpatie del pubblico, surclassando il pensatore saccente, antipatico e provocatore.
Siamo stati beffati di nuovo dal potere per mezzo di questa figura, in maniera fine ed intelligente, fino ad apprezzare un assassino.
Anche in questo Antonio ed Alessandro sono molto convincenti, mentre la regia ha giocato bene le sue carte. Siamo infatti diventati tutti inconsapevoli vittime di questo gioco perverso.
La simulazione dell’azione del potere attraverso lo spettacolo ci ha soggiogati, infettati, presi in trappola, portandoci a pensare e ad accettare qualcosa che non ci appartiene, subendo un velato indottrinamento tipico delle dittature.
Cominciamo ad essere sempre più invischiati in questa situazione, e indifferenti assistiamo al precipitare degli eventi, così come rimangono indifferenti alle richieste di aiuto dello scrittore i cittadini quando urla dalla finestra, Ecco un’altra arma che il potere usa a suo vantaggio: l’indifferenza.
Ancora una volta lo spettacolo, senza accorgercene, ci dimostra come funzionano e agiscono le dinamiche che soggiogano un popolo, e come queste abbiano fatto breccia anche sullo spettatore ignaro.
Il confronto è drammaticamente poetico, efficace e suggestivo, grazie a questi due bravi attori, molto diversi tra loro sia per approccio recitativo che per aspetto.
Scelti con cura da Alessio, riescono a sottolineare la loro profonda differenza, evidenziata e rimarcata attraverso i giusti costumi.
Anche fisicamente sono perfetti per questo ruolo: Alessandro, di corporatura più esile tipica dell’intellettuale, ci appare nervoso, agitato, impaurito ma anche provocatorio mentre si prepara emotivamente e psicologicamente alla sua dipartita con un escalation ben costruita dall’attore e dal testo.
Antonio sembra gigantesco, apparentemente un bonaccione, racchiude in sé e svela una grande profondità ed umanità visibilmente schiacciata dal suo ruolo e dalle tante uccisioni che porta sulle spalle, che lo hanno indurito.
Due anime dannate: una finirà stanotte la sua lenta agonia, l’altra è condannata a perseverare e convivere con i suoi latenti sensi di colpa.
Due attori che catturano l’attenzione, che ci trascinano in quella scenografia tetra e buia, soffocante e pesante, avida di luce. Ci si aspetta un colpo di scena, o un finale inaspettato, o forse un lieto fine. L’abbraccio del tristo mietitore però incombe…
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