Teatro Vittoria
Di Michele La Ginestra
Con Michele La Ginestra, Massimo Wertmuller e Ilaria Nestovito
Regia Roberto Marafantaiuto regia Ludovica Di Donato
Scene Teresa Caruso, Costumi Giusy Nicoletti, Musiche Andrea Perrozzi
Ogni volta che andavo al teatro Sette Off, come si trattasse di una provocazione nei miei riguardi, vedevo la locandina di questo spettacolo con una certezza amarezza.
Amo moltissimo Massimo Wertmuller, grandissimo attore che dopo aver seguito molti anni sul piccolo e grande schermo, ho cominciato ad apprezzare anche in teatro. Ma mi ero perso questa proposta provando un certo disappunto.
Dopo tanto tempo di attesa e speranza in una replica, lo scorso anno è stata riproposta con un diverso cast: Michela La Ginestra, l’ideatore dello spettacolo era il legionario romano anziano e Alessandro Salvatori il giovane. Neanche a dirlo, sono rimasto colpito dallo spettacolo e dalla bravura in scena di entrambi.
Quest’anno il Teatro Vittoria lo ripropone con il duo originale, e finalmente vedrò recitare insieme Massimo Wertmuller e Michele La Ginestra. Al loro fianco, sempre la dolcissima e bravissima Ilaria Nestovito.
L’atmosfera è la stessa che ricordavo, piuttosto surreale, e qualcosa mi ricorda le scene di quei primi film hollywoodiani a colori girati tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Quelli affettuosamente chiamati film “peploni” (così erano definiti quelli a sfondo storico- religioso, perché i personaggi indossavano il peplum, un abito antico di origine greca).
In maniera alquanto suggestiva viene ricreata una zona desertica in cui si muovono i due soldati romani impersonati da Massimo e Michele. Sono in fuga, si direbbe; dei disertori… ma perché?
È notte, siamo nell’ anno 33 d.C. In Palestina i due uomini si riposano sulle rocce desertiche efficacemente ricostruite nella scenografia.
Il deserto viene spesso associato alla vita ascetica, alla ricerca spirituale, alla fuga dal materialismo per trovare se stessi e Dio. È di per sé un luogo che si presta bene a rappresentare la solitudine, sia fisica che interiore, e spinge alla riflessione e al contatto con il proprio io più profondo.
I due uomini però si trovano qui solo perché stanno fuggendo. Parlottano tra loro con circospezione, si avverte del disagio: è il timore di essere seguiti, scoperti ed arrestati perché avrebbero dovuto fare la guardia ad un uomo e lui invece è scomparso. Si tratta di Gesù…
La paura non gli impedisce di discutere e di parlare del più e del meno e scambiarsi anche reciproche battute pungenti assolutamente divertenti, forse anche e soprattutto per alleviare la tensione.
Il testo infatti inserisce una forte dose di ironia che contrasta volutamente con la situazione piuttosto tesa e precaria, che all’inizio passa in secondo piano. Un bell’escamotage che ci permette di conoscere i due uomini e, perché no, li fa entrare nelle nostre simpatie.
Uno è Cassio, il centurione che con una scorta di legionari ha guidato Gesù verso il Golgota; l’altro è Stefano, un suo sottoposto, che impietosito ha dato a Gesù la posca, una bevanda dissetante a base di acqua e aceto.
Loro malgrado, sono stati coinvolti in un evento molto più grande di loro che cambierà le sorti dell’umanità e inevitabilmente segnerà anche le loro vite.
La prima parte passa così, in maniera molto leggera, scorrevole e gradevole; i due si rivelano sempre più colpiti nell’animo da ciò che gli è accaduto, si confrontano animatamente sugli accadimenti e cercano delle risposte, le stesse che ognuno di noi si pone rispetto alla propria spiritualità. È su questo argomento che tra loro avverrà una rottura. Le visioni sono fortemente contrastanti, si oppongono e nonostante la profonda stima ed amicizia che li lega, si intravede il bivio delle due strade che li divideranno.
Non sempre le cose possono spiegarsi con la razionalità e con la cultura, soprattutto quella pagana di cui sono intrisi.
Stefano, razionale e con i piedi ben piantati per terra, cerca di convincersi e di persuadere Cassio dal desistere nel seguire le orme di un uomo appena conosciuto, simile a tanti altri che vaticinano messaggi di spiritualità. Quella di Cassio è solo un’infatuazione per uno dei tanti uomini morti in croce.
Cassio invece è visibilmente rapito dalla figura di Cristo, che vede totalmente diversa dalle altre, mostrando di sentire qualcosa che va oltre la razionalità.
Nel testo Michele inserisce una forte ed esplicita romanità nei dialoghi, così i due conversano in maniera spontanea e goliardica, insaporendo i toni con un tocco di comicità dal gusto retrò, quella tanto cara a questo autore e attore. Il suo stile riconoscibile si avverte anche in questo lavoro. La scelta dei dialoghi così strutturati rende più leggero e fruibile il modo di affrontare un argomento difficile e, se vogliamo, molto soggettivo come quello della fede. Questo approccio non sminuisce il tema trattato, tutt’altro, permette di esaltare così la semplicità e l’umanità dei di due uomini che si struggono tra dubbi e perplessità che affliggono da sempre l’umanità.
In questa edizione si ritorna agli albori. È una commedia che ha riscontrato molto successo e che, a distanza di anni, ancora ha un pubblico interessato che la segue, anche di spettatori come me che l’hanno già vista. La deliziosa Ilaria Nestovito esordì proprio con questo spettacolo da giovanissima al fianco di questi mostri sacri che ritornano a mietere successi.
È una splendida figura eterea di contorno, una figura onirica e suggestiva che compare e scompare di scena senza mai interagire direttamente con gli uomini. Un personaggio evocativo ed affascinante che si muove su un tappeto sonoro composto dall’ apprezzato e capace Andrea Perrozzi, che ha creato delle musiche evocative che hanno il sapore di terre lontane.
Ilaria, irreale ed eterea, come una dea ci svela le sue doti canore in un canto appena sussurrato, soave e melodioso. La sua figura in un candido e cangiante abito bianco allude a un essere spirituale, o forse è proprio la rappresentazione della fede.
La regia è affidata a Roberto Marafante, che con la sua sensibilità e professionalità ha dato un tocco magico a questo testo emozionante, diretto, intenso e profondo, ammaliando ed emozionando il pubblico.
Un racconto antico come l’umanità, che preserva tutta la sua sacralità attraverso un linguaggio semplice, diretto ed ironico attraverso una recitazione che sa bilanciare i momenti di grande ironia a quelli di profonda interiorità e drammaticità.
Non si possono non notare alcune similitudini tra “Come Cristo comanda” e “In nome della madre”, sempre scritto da Michele. Anche se qui il racconto è interamente incentrato sulle figure di Giuseppe e Maria da giovani, mentre viene raccontato dalla Madonna attraverso un taglio più moderno ed originale. Ma il messaggio spirituale intrinseco non cambia, si utilizza sempre un approccio semplice e leggero per trasmettere una profonda spiritualità.
Michele e Massimo emozionano, rapiscono, inteneriscono e funzionano divinamente, sanno essere divertenti e rallegrarci con momenti leggeri e colpirci con altri drammatici e ricchi di tensione. Bella la rappresentazione della loro amicizia e di quanto questa li unisca e come riescano a far spiccare la loro personalità, le differenti vedute e i conflitti interiori.
Non aspettatevi un lieto fine, ma semplicemente un gran finale…
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