Teatro Marconi
Di Maria Grazia Aurilio e Tiziana Sensi
Con Tiziana Sensi
Supervisione alla regia Caterina Gramaglia
Regia Tiziana Sensi
Arts Production P.d.f e Mania Teatro
Video Nuvole Rapide Produzioni Luci Flavio Perillo Foto Daniele Pedone
Comunicazione social Vibra Agency – Grafica mdesign studio
Tiziana riflette: ma se Platone fosse vivo avrebbe anche lui un profilo sui social? Lo userebbe per seguire i nostri profili o sarebbe più occupato a cercare il suo Daimon usando gli algoritmi e le notifiche?
Il Daimon, per il filosofo era una sorta di creatura divina, di guida interiore preposta a guidarci nella realizzazione di ciò che la nostra anima sceglie prima di venire al mondo con un corpo mortale, ma che poi dimentichiamo nel momento stesso della nostra nascita. Dunque, in seguito spenderemo la nostra vita alla ricerca di quella realizzazione, o quantomeno dovremmo farlo.
Oggi potremmo identificare il Daimon in una sorta di GPS emotivo che ci spinge, se lo ascoltiamo, a scoprire e poi a vivere la nostra vera essenza.
Attualmente però possiamo constatarlo ogni giorno, che il nostro mondo è cambiato drasticamente rispetto a quello in cui viveva Platone. Un mondo in cui siamo continuamente distratti dalle connessioni e dai social e forse non sappiamo più ascoltare questa voce interiore che rimane soffocata, perdendo l’occasione di trovare noi stessi e realizzarci, perdendoci dietro ad attrazioni superficiali, effimere e fugaci che danno dipendenza e ci inebetiscono, creando in noi insoddisfazione ed aspettative negate.
Un’arma di massa usata per assoggettarci e renderci degli automi anaffettivi alla ricerca di una soddisfazione fittizia che ci imprigiona continuamente in queste dinamiche bulimiche. Perdiamo la nostra identità dietro ad uno schermo che ci propone una realtà virtuale spesso presentata da influencers che pretendono di insegnarci a vivere, cosa acquistare e come risolvere i nostri problemi; influencers che poi guadagnano sulle nostre connessioni.
Il Marconi ha in serbo per noi una vera e propria perla teatrale e che consiglio di andare a vedere.
Lo spettacolo coinvolge il pubblico con un monologo ironico e provocatorio, profondo e sincero, sul mondo digitale e su come questo abbia trasformato le nostre abitudini, i modi di pensare, di comportarci, di essere.
Che Tiziana Sensi sia un’artista di indubbio valore non devo essere di certo io a dirlo. Oltre a vantare un curriculum nel mondo dello spettacolo di tutto rispetto, propone sempre del teatro di alto spessore.
Avendola vista più volte sul palco, posso dire che in questa interpretazione supera se stessa. Tutte le sue capacità traspaiono chiaramente in questo lungo ma mai monotono monologo, uno dei migliori che io abbia mai visto, e che è chiaramente sentito da questa superba artista dalle grandi doti comunicative.
Dietro una lettura più leggera e ironica che fa uso anche di un registro comunicativo a volte gergale e a tratti romanesco, lo spettacolo rivela contenuti importanti che coinvolgono l’intero genere umano, a partire dai più piccoli.
Tiziana non si limita ad una semplice accusa, ma ci fornisce i dati e le informazioni per riflettere, prendere coscienza, prendere una posizione, autovalutarci.
Durante il monologo vengono proiettati video dal contenuto chiaro e preoccupante in cui bambine piccole usano e reclamizzano prodotti con un linguaggio da adulta esperta di cosmetica; bambini in preda a crisi di nervi se privati dell’uso del web dal genitore, adolescenti che girano in tour sessuali per l’Italia gareggiando tra coetanee a chi riesce a non restare incinta; neonati che si disperano quando gli viene tolto di mano lo smartphone.
Ancora più sconvolgenti i video che ci propongono, con l’uso dell’intelligenza artificiale, di parlare con i nostri parenti defunti!
È questo il progresso che volevamo e che ci aspettavamo dalla tecnologia? Una sorta di prostituzione mediatica mirata a renderci succubi di una visibilità ad un numero sempre più crescente di followers per fare incetta di dopamina e sentirci meno soli. “Seguo o sono seguito, dunque esisto”. Anche la filosofia del “cogito ergo sum” viene così distorta per permetterci di accettare quello che in fondo è solo un nuovo tipo virus, non biologico ma comunque temibile.
All’apertura del sipario Tiziana si presenta come un essere ancestrale, accompagnata da effetti scenici davvero suggestivi e degni di un film di fantascienza, mentre come un automa parla ci precipita nel mondo digitale. Finita l’originale presentazione, ci racconta del suo Daimon, di come abbia preso vita dentro di lei, di come lo abbia seguito.
Quindi ci racconta in maniera dolce e commovente la sua vita, e lo fa con un linguaggio che alterna un lessico impeccabile con elementi del dialetto romano, modi raffinati e pacati con atteggiamenti da ragazza di borgata. A volte evoca la bambina che è stata, per poi tornare se stessa.
Come un Giano bifronte, Tiziana poliedrica e versatile ci prospetta la stessa realtà raccontandola con voci e personalità differenti. Nel frattempo domina completamente il palco incantando, ipnotizzando e ammaliando lo spettatore per poi renderlo protagonista, interpellandolo, provocandolo, dandogli la parola e quello spazio che il web gli ha vilmente sottratto.
Ogni gesto, ogni variazione di tono e di espressività sono studiati in maniera accurata per trasmettere visivamente ed empaticamente un’ umanità e una passione che il web non potrà mai esprimere.
Nonostante l’intenso e lungo monologo (considerando che la nostra attenzione secondo gli studiosi è ormai ridotta a trenta secondi, grazie al web), lo spettatore affascinato pende dalle sue labbra, e ne segue ogni singola parola. Tiziana sa come spezzare un discorso, dare respiro al testo, introdurre un altro tema per tornare poi al precedente seguendo una logica chiara e puntuale che colpisce.
Con nostalgia e delicatezza passa dal fenomeno dei media alle sane abitudini della nostra gioventù, quando il nostro telefono era quello grigio a rotella su cui i genitori parsimoniosi mettevano un lucchetto per evitare bollette stratosferiche, e che posizionato in luoghi comuni della casa non permetteva la privacy durante le nostre telefonate.
Abbiamo barattato semplicità e spontaneità con la connessione, l’attesa e la noia con la velocità e il fare continuo. Qui sta il nodo su cui Tiziana vuole portarci: l’importanza e la bellezza del pensiero critico, il desiderio di godere del presente, il valore del tempo da riempire con qualcosa che sia davvero nostro e non provenga dall’esterno, studiato a tavolino per imbrigliarci. Ci siamo ridotti ad essere schiavi di uno strumento che avrebbe dovuto migliorare la nostra vita e darci una maggior libertà, che invece ci ha tolto.
Il testo di Maria Grazia Aurilio e di Tiziana Sensi racchiude tante verità, raccontate in maniera sublime grazie alla recitazione di una grande artista che con classe e maestria ha saputo farci riflettere, sorridere e commuovere.
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