TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (quando ci leveremo queste mascherine?)
Teatro Marconi
Scritto e diretto da Andrea Zanacchi, con Marco Landola e Andrea Zanacchi.
Andrea con questa proposta ha vinto la VII edizione del Premio Teatro Traiano. Bravo artista, può vantare di aver vinto anche altri premi, tra cui un’altra edizione del concorso e, sempre con questo corto teatrale, un premio Emergency.
Ultimamente dal cinema sono stati proposti svariati film sulla Prima Guerra Mondiale, ma credo che sia davvero difficile riproporre quell’inferno di fango, sangue, filo spinato e trincee in cui sono morti milioni di soldati.
Andrea sceglie una scenografia scarna ed essenziale per la sua proposta. Come una scala di claudicanti pioli cartacei che si arrampica verso il cielo, come fosse l’eterna dimora di anime sfortunate, fogli di carta incollati a fili che scendono dal soffitto arrivano sulla scena. Quei “pioli” altro non sono che lettere contenenti pensieri, desideri, speranze, sensazioni, opinioni scritti dai soldati al fronte per arrivare a casa e forse mai giunti. Molti di loro hanno lasciato il sangue in quei terreni di battaglia, altri sono tornati, mutilati o con cicatrici indelebili nell’animo.
Andrea, con il suo particolare approccio, sceglie di presentarci dei soldati al fronte in varie situazioni di vita. Invece di una divisa, lui e Marco si presentano vestiti di bianco, allegoria del candore di anime pure, agnelli sacrificali mandati allo sbaraglio da immolare in nome della guerra; o forse c’è anche un richiamo al colore delle camicie di forza. Quanti di questi uomini, infatti, sono tornati impazziti o con seri traumi psicologici?
I due artisti si muovono sul palco scalzi, come a voler rappresentare il contatto mai perso con quella terra sulla quale hanno combattuto e sotto la quale sono stati sepolti. Criticano così quella retorica e quella propaganda che hanno mandato al massacro tutti quei giovani, dei quali ipocritamente ricordano i nomi, le imprese, i sacrifici solo durante le commemorazioni, ponendo fiori sulle loro lapidi e dimenticandoli subito dopo. Come ci spiega anche lo storico Alessandro Barbero, nessuno voleva lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, eppure una serie di vicende mal gestite e di incastri politici letali trascinarono più di 20 paesi nel conflitto, causando milioni di vittime di cui almeno 650.000 italiani. La domanda che Andrea si pone e ci pone è: perché tutto questo?
L’idea dello spettacolo è di dar voce virtualmente a tutti quei soldati italiani deceduti nel conflitto. Gli attori decidono di farlo con dei brevi dialoghi, dei “quadri” che riprendono testimonianze lasciate dai soldati nelle loro lettere. Come in una dolce danza macabra di voci dialettali che cambiano e si accavallano tra loro, Andrea e Marco inscenano i dialoghi di questi uomini dalle diverse provenienze geografiche dello Stivale e dalle svariate esperienze che, pur usando i loro dialetti regionali, non cambiano il senso di ciò che vogliono dire e di ciò che provano durante l’assurdo viaggio a braccetto con la morte ed il dolore.
Ho avuto la viva sensazione di vedere in questi dialoghi sulla guerra e le trincee, sulla censura e sulla pazzia, l’evocazione del viaggio del Milite ignoto verso Roma, anime sballottate dal treno che accompagnano quel feretro simbolo verso la capitale.
Di questi uomini Andrea non sottolinea l’eroismo perché preferisce dare spazio al pensiero di anime dalla vita spezzata, non facendo mancare un briciolo di umorismo qua e là.
Nella rete metallica di un letto, più volte spostato nello spettacolo, si può immaginare il letto di un degente ferito, del paziente di un manicomio sopra di esso legato, ma anche una barriera dimensionale e temporale tra personaggi e pubblico, o un più esplicito richiamo al filo spinato dei campi di battaglia… Tra una confidenza, uno sfogo, un dialogo e l’altro, si sentono arrivare esplosioni di artiglieria e vengono proiettate immagini del conflitto.
Tutto questo serve a farci riflettere e a porci una domanda, come fanno anche le vittime: a cosa serve tanta sofferenza?
Una domanda che anche oggi si riaffaccia nella nostra mente di fronte al conflitto in Ucraina.
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