TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (finalmente senza mascherine all’aperto)
Teatro De’ Servi
Regia di Nicola Pistoia
Con Armando Puccio (Maurizio il nonno), Stefania Polentini (Luciana, la nonna), Veronica Liberale (Fiorella, la zia), Francesco Stella (Adriano, il padre), Francesca Pausilli (Tamara, la mamma), Francesco De Rosa (Gregory o Francesco, il figlio).
Finalmente Veronica porta in scena il suo nuovo lavoro. Tempo fa ne parlammo su questa pagina io e lei. Ora il progetto prende vita e viene presentato al pubblico. Uno spettacolo sull’autismo, visto dalla parte della famiglia e di chi ne è afflitto. Solo una persona sensibile e profonda come Veronica poteva partorire un’idea così, sviluppandola con ironia, leggerezza, dolcezza, ma anche e soprattutto con tanto rispetto.
Un’artista che crea delle sceneggiature con un tocco sempre personale, riconoscibile, ricche di emozioni e messaggi profondi, ma senza perdere l’autoironia. Spettacoli pensati per essere alla portata di un pubblico eterogeneo. Anche nel caso di questo argomento, che se non vogliamo definirlo dramma è sicuramente, per chi ne è coinvolto, una situazione difficile da gestire. L’autismo non gode di particolari e adeguate attenzioni da parte delle istituzioni, che costringono le famiglie a superare praticamente da sole le difficoltà che comporta.
La stessa solitudine viene rappresentata sul palco da una scenografia a dir poco essenziale, e proprio per questo perfetta, perché manifesta quel vuoto istituzionale e quella solitudine in cui vivono le famiglie coinvolte, così come la persona autistica stessa. Un particolare disturbo, ancora non del tutto esplorato, che pone chi lo ha in una strana dimensione. Spesso il soggetto non è in grado di interagire con gli altri o di manifestare loro i suoi sentimenti, nonostante provi le stesse nostre emozioni e si caratterizzi per una spiccata intelligenza.
Veronica porta in scena un gruppo di attori davvero credibili che sembrano una vera famiglia. Come interagiscono tra loro, come discutono, bisticciano, si riappacificano, si prendono in giro… Sembra proprio una di quelle famiglie di una periferia romana qualsiasi. Schietti, veraci, diretti, vivono l’arrivo del nuovo nato con grande gioia, ma quando iniziano a percepire che qualcosa non va, ognuno di loro affronta il dubbio in modo diverso: chi nega la singolarità di certi atteggiamenti, chi dubita, chi si preoccupa.
Il problema, in un crescendo, si fa strada fino a diventare un dramma familiare. Eppure piano piano Gregory (così soprannominato dalla nonna che ama Gregory Peck) diventa, in questa situazione, un vero e proprio legante che finisce per unire tutti i componenti della famiglia. Non solo, ma offre a ciascuno di loro l’occasione per affrontare anche solo con le proprie forze il problema, e per trovare un’energia nuova ed una complicità che loro stessi non credevano di avere. Ed ecco che il dramma si trasforma in una possibilità per essere migliori. Veronica, che conosce bene questo tema perché lo vive quotidianamente, sceglie di interpretare quello che sembra un personaggio secondario, quello più distaccato, una sorta di simpatica zia svampita che vive una vita tutta sua, in un mondo tutto suo, quasi scegliesse di vivere in parallelo una realtà simile a quella di Gregory. Il suo personaggio sembra voler sottolineare che la diversità non è un difetto ma un altro tipo di normalità, perché ogni essere umano è unico e diverso.
Forse sono solo io che vedo questo paradosso, ma le due figure in antitesi mi sono sembrate a volte specchiarsi. Veronica, in questa veste, sceglie di lasciare spazio agli altri, tanto presi dai loro personaggi, che sembrano invece realmente vivere questa realtà, tanto sono credibili. Bella questa scelta di Veronica. Arriva comunque il suo momento, quando si ritaglia lo spazio per spiegare alla sua famiglia e, attraverso essa, al pubblico, cosa sia l’autismo in maniera seria e concreta, per poi riprendere i panni della stralunata Fiorella. Armando e Stefania, i nonni, sono eccezionali; con le loro espressioni e battute in romanaccio, strappano risate di cuore, pur palesando la difficoltà di vivere la nuova condizione. Francesca e Francesco sono la rappresentazione perfetta di una coppia di neo genitori alle prese con un problema più grande di loro. Sono una coppia come tante, ma davvero bravi a manifestare la paura, il disagio, l’inadeguatezza, pur continuando a combattere per loro e per Gregory.
L’ ottima scelta della regia di Nicola Pistoia, sceglie di tenere sempre tutti in scena, seduti di spalle su una pedana appositamente posizionata sul palco quando sono “fuori scena”. Le spalle forse vogliono rappresentare la difficoltà nell’accettare la loro situazione, o la solitudine e il senso di impotenza che ognuno prova. Sono sempre presenti, spalla a spalla, in silenzio, con i loro pensieri, i dubbi e le paure. Questo espediente della regia mi ha trasmesso la sensazione di una profonda unione familiare, di cui neanche loro all’inizio sono consapevoli. Questo essere “imprigionati” sul palco rende l’idea di come non possano scappare, chiudere gli occhi.
Sono coinvolti, ognuno a suo modo, e fanno tutti parte di un ingranaggio. Insomma, un messaggio piuttosto chiaro e forte della sceneggiatura e della regia. Emozionante la scelta di far salire sul palco Francesco, un tenero ragazzotto che, nonostante condivida con il personaggio Gregory un disturbo simile, coraggiosamente interpreta il suo ruolo facendo il narratore di se stesso e accompagnandosi con la chitarra. interagisce fuoricampo, fuori dal gruppo, come a rappresentare la sua solitudine dovuta alla sua particolarità. Anche se è posto all’esterno del quadretto familiare, fa sempre parte di quel nucleo, è lui il legante. Francesco, raccontandoci, interagisce schiettamente con il pubblico e con naturalezza ci propina alcune battute davvero divertenti. Tenerissima la scelta di inserire la voce registrata del dolcissimo Giosuè, il figlio di Veronica, che ha ispirato questo spettacolo, un modo dolce per spiegare l’autismo con tatto, discrezione, rispetto e tanto, tanto amore.
Cosa dire ancora? Veronica ha una penna magica, sa scrivere gli spettacoli, i dialoghi, inserire battute comiche per sdrammatizzare senza mai esagerare, lasciando sempre centrale l’argomento che vuole portare avanti. Dà vita ai personaggi rendendoli veri, e sceglie attori in grado di esprimere al meglio il suo pensiero affiancandoli come una mamma, anche con la sua presenza durante la recitazione.
Uno spettacolo bello, ricco di emozioni che spero sia visto da un pubblico numeroso, perché lo merita davvero.