“Il mio segno particolare”

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TEATROVID-19 il teatro ai tempi del Corona (verso la fine della pandemia? Ma intanto i contagi aumentato di nuovo…)

Teatro Trastevere
dal romanzo di Michele D’Ignazio

con Marco Zordan

regia Maria Antonia Fatima

Un bimbo nasce con una particolarità, uno scherzo che la natura gli imprime addosso, come un mantello che gli scende sulla schiena. I dottori non sono in grado di aiutarlo, solo un bambino su cinquantamila presenta questo problema. Allora la famiglia si mette alla ricerca di specialisti di fama e comincia a girare l’Italia, poi cerca anche all’estero nella speranza di curare il figlio. Ma questo mantello, questo “segno particolare” si trasforma in una sorta di segno distintivo che matura in un valore positivo per il ragazzino. Come il mantello di un supereroe, da “difetto” diviene un pregio, da fragilità si tramuta in forza.

Marco non è solo un bravo attore ed un ottimo interprete; Marco è una persona amabile, dal cuore grande e dall’enorme passione che mette in tutto quello che fa. Caratteristiche, queste, che convogliate su un palco gli permettono di realizzare delle performance di alto valore artistico. Lui non entra semplicemente nel personaggio, ma è il personaggio: lo vive, lo sente dentro, lo rende talmente reale al punto che lo spettatore entra in totale empatia con ciò che racconta, arrivando a vivere tutte le emozioni che esprime e trasmette.

I suoi occhi scuri e profondi brillano mentre guardano oltre la sala, verso orizzonti lontani. Lo sguardo si perde in un mondo che vede solo lui e nel quale ci vuole portare. La porta ha la forma di quello sguardo, con quei grandi occhi pieni di tutto che ci trascinano con lui e ci mostrano una dimensione che si materializza pian piano sul palco. Dall’inizio alla fine siamo accompagnati dalle sue parole che diventano immagini, suoni, ricordi, emozioni, sentimenti reali. Il suo non è solo saper recitare, ma avere il dono di trasmettere le esperienze di cui ci parla, facendocele vivere nell’animo.

Tutto racconta, di lui: le mani, il viso, il corpo, la voce. Non c’è una parte di questo artista che non sia immersa nella narrazione di un suo racconto.

segno particolareStasera la storia che ci presenta è vera. A testimonianza in sala c’è proprio chi ha vissuto e scritto quello che Marco ci propone. Arrivano a noi tutti i passaggi importanti di questa vita, quella di Michele D’Ignazio. È lui il bambino che rivive nelle parole dell’attore, un bambino che per sedici anni ha convissuto con quel “mantello”, un enorme neo sulla schiena che avrebbe potuto evolvere in qualcosa di pericoloso per la sua salute e che quindi dopo numerosi interventi è stato eliminato. La storia ci fa intuire che questo “difetto” non è pericoloso solo per la salute, ma anche per una serena vita di relazione, soprattutto quando inizia il periodo dell’adolescenza. Eppure, proprio grazie a questa scomoda “convivenza”, Michele sviluppa una forza non solo per andare avanti e reagire, ma addirittura per farne uno strumento con il quale trova la sua strada nella vita. Se pensiamo che a volte utilizziamo la parola “neo” per indicare un difetto, una mancanza, comprendiamo quanto sia sorprendente che per Michele esso sia diventato lo stimolo che gli ha consentito di sviluppare una passione che gli ha cambiato la vita. Oggi infatti Michele è uno scrittore, ha fatto del suo “neo” un punto di forza con il quale insegna a noi grandi, ma soprattutto ai bambini e ai ragazzi, come convivere con un proprio ”difetto”, come farlo compagno della propria vita, come accettarlo.

Lo spettacolo di questa sera è adatto a tutti, viene presentato nelle scuole e insegna che un difetto fisico non deve e non può compromettere il corso di una vita. Un insegnamento diretto anche a coloro che istintivamente allontanano il “diverso”.

Il monologo è costruito in maniera deliziosa. Risulta profondo, bello, pieno di dolcezza e al contempo potente, raccontato come una favola adatta a tutti. Possiede un tocco di magia in grado di sprigionare delle forti sensazioni dentro ognuno di noi.

segno particolareMarco si alterna a delle voci fuori campo, mentre sul palco crea figure che si proiettano con un gioco di luci e ombre. Sono personaggi di fantasia, scenari, situazioni che materializzano i desideri e le paure di Michele bambino dalla nascita ad oggi. Spesso le voci fuori campo sono interviste fatte a bambini che portano su di loro questo stesso “difetto”. Bambini che con matura ironia si relazionano con chi li allontana. Per non soccombere all’ignoranza di chi vicino a loro non è grado di accettarli, non raccontano della loro sofferenza ma di come sanno convivere con essa, dimostrandosi più grandi di noi grandi. Michele raccoglie tutte queste testimonianze simili alla sua, e già questo aiuta ad esorcizzare la diversità degli intervistati. Attraverso Marco, porta in scena non solo la sua vita, ma quella di tutti questi bambini. Da un grande baule, una specie di pozzo di San Patrizio Marco attinge a tutti questi ricordi attraverso gli oggetti che poi usa in scena. Un baule carico di quello che potrebbe sembrarci dolore, ma che viene con l’esperienza trasformato in gioia, spensieratezza, portato sul palco con molto tatto ed intelligenza.

Solo un interprete come Marco poteva dare così viva voce ad una storia così bella, toccante e profonda. Il Teatro Trastevere ci ha donato un’altra perla.

segno particolare

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