“In nome della madre”

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TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (verso la fine della pandemia?)

Teatro 7

Dal libro di Erri De Luca

Adattamento e regia di Michele La Ginestra, aiuto regia Ilaria Mariotti

Con Beatrice Fazi, Ilaria Nestovito e Francesco Stella.

La storia è di una ragazza semplice, innamorata di suo marito. Lui la ricambia con amore e si schiererà dalla sua parte difendendola contro tutto e tutti, nonostante lei ascolti semplicemente le indicazioni di un sogno che cambierà le loro vite e quella di tutti noi.

Sì, parliamo della storia di Maria, la Madonna, raccontata da tre formidabili attori: una superba Beatrice Fazi nel ruolo di Maria adulta (voce narrante), la Maria giovane interpretata da una squisita e poetica Ilaria Nestovito, e un profondo e toccante Francesco Stella nei panni di Giuseppe.

Un bel cast che porta in scena una storia vecchia di duemila anni che ancora riesce ad affascinare, oggi grazie all’interpretazione degli attori e al tocco magico di Michele La Ginestra.

L’idea è di ripercorrere la storia che conosciamo, dando però risalto al lato umano dei protagonisti, soprattutto a quello femminile (come il titolo suggerisce). La storia diventa di per sé un’ invocazione e al contempo una sublimazione della madre di Dio.

Ilaria, con la sua dolcissima voce e gli occhi che trasmettono la forza e la speranza di questa donna, è impregnata di dolcezza. Si muove con una gestualità sempre contenuta, elegante, poetica, evocando una Maria serena, colma di amore e serenità e consapevole del suo grande ruolo.

Francesco propone un Giuseppe che segue caratterialmente le orme della futura moglie. Dapprima è dubbioso per la singolare maternità annunciata, ma poi, dopo aver guardato la sua Maria negli occhi, capisce che in lei ci sono solo purezza e sincerità. Immediatamente in lui ogni dubbio crolla e si svela per quello che è: un ottimo esempio di padre e marito, un prototipo di uomo protettivo, affettuoso, pio e rispettoso. La chicca (per così dire) è l’idea di proporre una Maria narrante fuori scena in chiave adulta e moderna, interpretata da una meravigliosa Beatrice Fazi, che rimane sempre in perfetta sintonia con le emozioni manifestate dalla giovane Maria. Beatrice sottolinea i passaggi del racconto attraverso i sui ricordi, esprimendo le stesse emozioni vive ed immutate nonostante il tempo trascorso. Ci racconta la sua storia, che si svolge dietro di lei ed appare come in una visione onirica. Beatrice è sorprendente! Si rimane incantati a guardarla, ad ascoltarla, seppure quegli abiti moderni che indossa spiazzino lo spettatore e cozzino con quelli della coppia in ombra; tutto questo passa in secondo piano, però, perché si viene rapiti, incantati dalla sua recitazione. Si pende letteralmente dalle sue labbra!

Le scene in cui si muovono le due realtà sono sempre separate grazie ad un efficace gioco di luci che spezza il buio dell’inazione. I due giovani sono abbigliati con dei bei costumi storici e si muovono in un ambientazione che ci riporta inequivocabilmente a duemila anni fa. Beatrice invece sottolinea, con la sua contemporaneità, che Maria potremmo trovarla in una donna qualunque di oggi e che, nonostante sia eclissata in quegli abiti apparentemente stridenti, sarebbe ben riconoscibile attraverso i suoi valori morali e il suo candore. Beatrice si muove in quello che può sembrare un’ accampamento; forse allude a una profuga che scappa dalla guerra? C’è un sottile parallelismo con la coppia costretta a trasferirsi da Nazareth a Betlemme sotto la dominazione romana? Forse al primo impatto (come è accaduto anche a me) può sfuggire questa correlazione, ma quando la si realizza lascia inevitabilmente il segno. E il cogliere questa analogia non può non riportare alla mente la guerra che si sta combattendo vicino a noi… Nel volto di questa Maria c’è ogni madre che fugge da quegli orrori e che cerca di proteggere suo figlio.

Sul palco una dolce musica sottolinea alcuni passaggi della storia, mentre il racconto procede con le luci che illuminano alternativamente i “quadri” in scena. Beatrice è magnifica, trasuda tenerezza, amore, incanta con la sua voce ed illumina il pubblico con i suoi occhi sognanti. Mi viene in soccorso il passo di Dante quando cita la sua Beatrice: “Ne li occhi porta la mia donna amore, per che si fa gentil ciò ch’ella mira…”

Beatrice è in perfetta sintonia con la sua parte giovane; con Ilaria sembrano due facce di una stessa medaglia, le distanzia solo l’esperienza maturata dall’adulta. Anche Francesco si colloca bene in questo quadretto familiare, dando una versione maschile di quella dolcezza e passione nei panni di un uomo perfetto. Il trio crea un’ efficace atmosfera palpabile, una riuscita armonia in cui si fondono positive energie fatte di speranza, amore, comprensione, consapevolezza, morale e decoro; un connubio di grandi ed elevati sentimenti che arrivano al pubblico della pienissima sala del Teatro 7. Gli spettatori sono assorti, rapiti, non emettono un fiato.

Parole e pensieri che oggi sembrano dimenticati vengono esposti in maniera chiara per colpire lo spettatore che, a prescindere dall’essere credente o meno, realizza la bellezza di questi sentimenti puri, forti e universali. Beatrice, Ilaria e Francesco ci incantano e ci ammaliano con la loro bravura. Mai una scena brusca, una frattura che rompa questa armonia presente dal prologo all’epilogo della storia.

Ho riflettuto, alla fine della serata, accorgendomi di non essermi mai trovato al cospetto di uno spettacolo così strutturato: non ci sono picchi, colpi di scena, battute spiazzati… Ho realizzato allora che proprio questo è il punto di forza: la capacità di stabilire una frequenza d’onda continua, lineare, costante, senza sussulti che ammalia senza annoiare, imbrigliando lo spettatore in un incantesimo per un’ora e mezza, liberandolo poi e facendolo uscire dalla sala sollevato, rigenerato, rinfrancato, contento.

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