“La cena delle verità”

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Teatro Anfitrione
Di Renato Piva
Con Flavio Angelini, Luigi Baldi, David Barone, Giorgia Finocchi, Laura Musso, Alessia Palma, Agnese Piccolomini, Gianluca Solla

Il testo parte dalla concezione che ognuno di noi viva contemporaneamente tre vite parallele: pubblica, privata e ​segreta. Quest’ultima dovrebbe essere la più protetta, volutamente nascosta nelle profondità nel nostro intimo, lontana ​dalle ingerenze altrui. Senonché oggi l’uso smodato dei dispositivi digitali, da cui peraltro dipendiamo, sono diventati i guardiani tecnologici dei nostri segreti. Messaggi, foto, telefonate sono la nostra memoria virtuale, con cui lasciamo prova di ogni nostro piccolo gesto comunicativo, anche il più innocuo che però può diventare fonte di problemi con il partner, la famiglia, gli amici.

Con questa realtà del nuovo millennio farà i conti un gruppo di amici che decide di passare una piacevole serata insieme. Durante la cena decidono di ​condividere i messaggi e le telefonate che arriveranno sui loro smartphone, svelando i segreti e la personalità di ciascuno e mettendosi tutti a dura prova.

La proposta non può non metterci davanti a dei semplici quesiti: quanto davvero conosciamo chi amiamo? Quanto un piccolo segreto svelato può ferirlo? Quanto sia giusto non condividere questi segreti con lui? Siamo davvero sicuri di sapere tutto di chi diciamo di poterci fidare ciecamente? Ma soprattutto: quanta ipocrisia c’è?

la cenaIl testo inevitabilmente ci riporta in mente il film del 2016 di Paolo Genovese “Perfetti sconosciuti”, e in effetti ne segue la linea piuttosto fedelmente. Ma nonostante la storia sia quella, si rivela completamente differente per l’impatto emotivo. Chi ama il teatro capirà cosa intendo. Le emozioni scaturite da un film, per quanto possa essere bello, non sono paragonabili a quelle che riesce a suscitare una recitazione dal vivo. Se avete visto il film, provate a vedere questa proposta e vi accorgerete della differenza.

La telecamera si sofferma sui personaggi che interagiscono tra loro, spesso tralasciando quello che accade tutto intorno, e così si perdono quelle sfumature date da espressioni e non detti di chi è fuoricampo, proprio come accadrebbe nella realtà. Emozioni forti che questo cast, invece, porta sul palco per coinvolgere il pubblico.

Si assapora in questo anche un vago retrogusto di pirandelliana memoria, sempre attuale, che vede quella maschera dietro cui ognuno di noi si cela. Tutte le dinamiche a cui assisteremo risultano dirette, schiette ed intense, e qualche normale sbavatura non fa che rendere tutto ancora più realistico, fino a indurci a una certa empatia e rispecchiamento con i personaggi. Situazioni che convincono e che arrivano dirette, una dietro l’altra, senza dare respiro. Ci si dimentica, immersi nei dialoghi, di essere in teatro…

La simpatia dello spettatore scivola da un personaggio all’altro ogni volta che quello si sente tradito dall’inevitabile apparire di uno scheletro nell’armadio. Così siamo costretti a trasferire la nostra preferenza su un altro protagonista, scoprendo man mano che nessuno è incolume dal giudizio.

Ognuno verrà esposto alla pubblica gogna al cospetto sia degli altri personaggi che del pubblico. Messi alla berlina, scoperti, denudati e criticati, anche umiliati saranno costretti a fare i conti con i rimorsi e i sensi di colpa. Sarebbe interessante, a fine spettacolo, chiedere ai presenti chi sulla scena ha amato o disprezzato e in chi si è riconosciuto…

La pièce si svolge in due atti e le coppie entrano in scena passando per la sala, infrangendo più volte in modo suggestivo la quarta parete. Molto funzionale e riuscito è il gioco di luci che separa le diverse scene, ad esempio quando cala il buio e viene illuminata solo una porzione di palco per mettere in risalto ciò che accade fuori campo, ovvero per esaltare uno sfogo o una rivelazione che deve restare celata agli altri.

Altre volte si sceglie di lasciare accese le luci in sala, un effetto che coinvolge il pubblico rendendolo parte del dramma.

I dialoghi sono dinamici, spontanei e realistici. Nel primo atto cominciano man mano a delinearsi i caratteri dei personaggi, le loro aspirazioni, frustrazioni e debolezze, e ancor prima che trilli il primo telefono si intravede qualche incrinatura.

L’atmosfera è rilassata, conviviale; si esternano i desideri irrealizzati, le problematiche e la monotonia nella vita di coppia, i figli che modificano l’assetto relazionale.

Nel testo sono inserite molte battute simpatiche che spezzano i dialoghi e strappano qualche risata ed applauso. Poi, ecco arrivare qualche messaggio o telefonata da cui emerge subito un innocente segreto o un non detto che stuzzica l’interesse della platea.

L’ipocrisia è l’ingrediente principale che pone in primo piano la parte più debole dell’animo umano con tutti i suoi controsensi. La vediamo insinuarsi subdolamente tra di loro fino a far vacillare i rapporti di coppia e di amicizia e a metterli a dura prova.

Gli attori si dimostrano affiatati, interagendo in maniera molto naturale nei loro ruoli. Mi è piaciuta particolarmente la gestione registica delle parti femminili; mi ha colpito molto come abbia voluto tenere a freno i ruoli femminili nella prima parte per liberarli dopo, nel secondo atto. Lì le attrici hanno interpretato la liberazione degli stati emotivi in modo forte ed efficace.

Anche il “reparto” maschile ha il suo spazio, ogni attore gioca le sue carte in modo da esaltare la parte più recondita del proprio personaggio. L’insieme non ne risente rimanendo ben amalgamato, l’armonia creata dal gruppo è solida e gli assoli sono essenziali per creare picchi nella storia.

Spettacolo gradevole e coinvolgente.

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