Teatro Roma
Di Gianni Clementi
Regia Matteo Vacca
Con Gabriella Silvestri e Matteo Vacca
Roma,19 luglio 1943, quartiere San Lorenzo. Gli Alleati e i tedeschi, nonostante gli accordi almeno sulla carta su Roma considerata Città aperta, dopo l’inutile scempio di Montecassino non avrebbero voluto bombardare la capitale mondiale dell’arte e mettersi contro tutta l’opinione pubblica, soprattutto quella degli italiani in America. Lo status avrebbe garantito ai tedeschi di non essere infastiditi, potendosi ritirare in ordine verso nord lasciando anche loro illesa la capitale.
Gli abitanti, nonostante l’occupazione, erano tranquilli perché la liberazione si avvicinava, visto che gli Alleati erano già sbarcati a Salerno. Chi e perché avrebbe dovuto infierire sulla città del papa? Ma San Lorenzo era un importante snodo ferroviario, troppo utile per le truppe germaniche.
Così, 270 bombardieri pesanti, 170 bombardieri medi e 61 caccia di scorta arrivarono sulla città. I quartieriA Tiburtino, Prenestino, Casilino, Labicano, Tuscolano e Nomentana furono colpiti da 4.000 bombe. Circa 1.060 tonnellate di esplosivo furono sganciate provocando circa 3.000 morti e 11.000 feriti, di cui 1.500 morti e 4.000 feriti solo nel quartiere San Lorenzo. Roma subì ben 51 bombardamenti nonostante lo status di Città aperta…
In questa cornice si svolge la nostra vicenda. Un periodo storico molto caro a Clementi che ha già ambientato negli anni della guerra altre commedie, come il “Cappello di carta” e “Alcazar”.
Un aitante e simpatico sacerdote ed un’avvenente quanto schietta parrocchiana sono impegnati in una confessione che però si trasforma in tutt’altro…
Nel crollo della chiesa a seguito del terribile bombardamento i due restano fortunatamente illesi ma completamente svestiti… chissà, forse per una punizione divina restano coinvolti in questa situazione che porta don Nicola e la sora Agnese a riflettere non solo sulla condizione attuale, ma anche su quella umana e personale, attraverso un confronto continuo di piccoli scontri e reciproche accuse, ma anche di momenti più teneri volti alla realizzazione del proprio io.
Sotto le macerie soffriranno fame e sete, e in questa condizione ogni schema che la società impone, crolla.
È interessante questo parallelismo che Clementi inserisce nel testo. Da una parte c’è il mondo esterno con tutte le sue regole da rispettare, anche solo apparentemente. Come viene fatto notare da Agnese, quelle persone sempre presenti in chiesa la domenica vivono in realtà con ipocrisia e sono sempre pronti ad alzare il dito accusatorio verso il prossimo.
Dall’altra c’è l’insolito microcosmo dei due protagonisti, coinvolti in una realtà completamente diversa ma spontanea e vera.
Si genereranno fraintendimenti maliziosi, equivoci e situazioni paradossali e grottesche che i due affronteranno sperando di salvare se non le loro vite, almeno le loro anime da un peccato tutto sommato molto umano e alquanto perdonabile, vista la situazione.
Vengo volentieri al Teatro Roma perché oltre ad essere ospitale e ben gestito, offre sempre un’ottima programmazione, come anche quest’anno. Non a caso sto seguendo quasi tutti gli spettacoli in cartellone…
Questa sera, a sipario ancora chiuso si sentono gemiti inequivocabile… e all’ improvviso il suono dell’allarme aereo con l’arrivo delle bombe.
Si apre il sipario ed appare una scenografia ben curata e assolutamente realistica che riproduce le macerie della chiesa; immagino si tratti della Basilica di San Lorenzo, colpita e devastata in quel triste giorno. I due sono alquanto svestiti, la povera sora Agnese cerca di ridestare don Nicola privo di sensi, comicamente sdraiato su di lei.
Al suo risveglio, il prelato non ricorda nulla di quanto accaduto, o forse si protegge attraverso una finta amnesia, e nonostante l’evidenza e le insistenze della donna, nega di aver avuto un rapporto con lei.
Intanto comincia ad entrate in una profonda crisi spirituale. Evidentemente capisce di aver peccato ed è lacerato per aver mancato ai doveri del suo sacerdozio. Arrivano i soccorsi e non sapendo come fare a recuperare i loro vestiti rimasti sotto le macerie, ai richiami dei soccorritori tacciono nella spasmodica ricerca di una soluzione salvifica per il loro onore, più che delle loro vite. Come fare? Non possono certo farsi salvare in mutande e sottoveste!
I dialoghi tra i due sono molto simpatici e realistici; un Matteo Vacca fortemente imbarazzato e sfuggevole cerca di negare le sue responsabilità, tergiversando; Gabriella Silvestri, invece, utilizza un approccio molto romano, tipico delle donne dei film neorealisti.
Al contrario del prete, si assume tutte le sue responsabilità. Anche qui c’è un altro sottile messaggio, viene sottolineata velatamente la diversità tra l’uomo e la donna: il primo, inveterato cacciatore e conquistatore a cui si può perdonare tutto perché questa è la sua indole; la seconda, invece la donna, rappresentata sempre come lasciva e peccaminosa per natura.
Due mondi paralleli che si incontrano: lei, che non vede da due anni il marito che è al fronte e avverte la mancanza della tenerezza maschile; lui che ha fatto voto di castità ma è pur sempre un uomo… Intanto si continuano a sentire gli aerei e le bombe che cadono, fino all’arrivo di papà Pio XII papa di cui sentiremo la voce…
I due caratteri dei personaggi a confronto creano un bel dinamismo, così diversi. Una donna del popolo schietta e verace ed un uomo di chiesa colto e profondamente devoto alla sua missione. Il testo evidenzia l’imbarazzo, i sensi di colpa, i timori e la vergogna di entrambi. I due validi attori riescono divinamente ad evidenziare gli stati d’animo durante la prigionia di cinque giorni in cui si nutriranno di ostie e vino (anche in questo vedo un certo simbolismo tra sacro e profano). Il tutto mentre si sentono i soccorritori che, grazie ad efficaci effetti sonori, risultano molto realistici.
Ma l’imbarazzo dei due è troppo grande e invece di affrontare la pubblica gogna, preferiscono rimanere celati sotto le macerie e spegnersi pian piano. Lo spettatore si accorgerà della bravura dei due artisti, che sfioriscono progressivamente ad ogni scena abbandonando drammaticamente ogni speranza.
In questa seconda parte i due attori sembrano davvero invecchiare, i loro movimenti si fanno sempre più lenti e il percorrere nervosamente la scena diminuisce drasticamente fino al declino definitivo per raggiungere il triste e toccante epilogo.
Il testo è piuttosto lineare, non ha picchi improvvisi che avrebbero a mio avviso vivacizzato la storia, ma si concentra efficacemente sul lento e progressivo spegnersi dei protagonisti.
Ci si abitua a questo andamento che abbandona l’ironia iniziale per far spiccare efficacemente il carattere dei due.
Un testo che volutamente inganna con il suo umorismo iniziale per trasformarsi sempre di più in un dramma coinvolgente grazie anche a riusciti effetti sonori, musiche e luci che rendono suggestiva la scenografia e donano un particolare pathos ad ogni scena.
Intanto, la “Stella di San Lorenzo” da lontano accompagna il lento e graduale spegnersi di questi due poveri diavoli e delle loro speranze. La sofferenza per questo atto umano che hanno compiuto è tutto sommato naturale e perdonabile. Li ha uniti nella loro solitudine e accompagnati in questa tragedia, regalandogli un momento di felicità durante la tristezza della guerra.
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