TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (verso un autunno con nuove varianti?)
Teatro Portaportese
Scritto e diretto da Giuditta Chiara
Con Jessica Ferro, Marco Zordan e Giorgia Paolini
Proposto nel delizioso Teatro Portaportese, nell’ambito della manifestazione “Teatro Festival Comic off”, nella speciale edizione “Testaccio 100” che festeggia così il centenario di questo rione romano. La commedia ci propone una ragazza, Sabrina (Jessica Ferro), alle prese con le sue esperienze sentimentali. Riaffrontando il suo passato con una diversa consapevolezza, si trova a vivere di nuovo quelle storie, ma stavolta a diretto contatto con il suo alter ego, incarnato da Giorgia Paolini. Sabrina incontrerà tutte le sue vecchie “fiamme”, uomini improponibili, tutti impersonati da un poliedrico Marco Zordan. Propongo di seguito il simpatico trailer dello spettacolo, che ha già riscosso molto successo:
In maniera molto divertente ed anche intelligente, viene proposto l’eterno conflitto interiore femminile. La sceneggiatura è scritta da una donna, Giuditta Chiara, che ha saputo rispecchiarne il carattere, le sfumature e gli eccessi, proprio come li vedrebbe un uomo. Dunque, la scrittura contiene molta autoironia, che nasconde (neanche troppo), un pizzico di critica. Prendono vita i dubbi, i timori, le incertezze e le immancabili scelte sbagliate di Sabrina, che io interpreto come una “donna tipo”, in un divertente e continuo conflitto interno con la sua vocina e in uno scontro aperto con il maschio. In effetti Sabrina incontra e sceglie sempre uomini improponibili, dal romanista sfegatato eternamente distratto dalla sua squadra, al nerd collega di lavoro imbranatissimo, all’ inguardabile e buffissimo soggetto impresentabile perché sempre vestito in maniera orribile, a quello che sbaglia i verbi producendo nella donna un disturbo acustico paragonabile allo stridio del gesso sulla lavagna. Uomini che al contempo hanno indiscutibilmente qualche pregio che attrae, ma troppo poco per iniziare una relazione stabile e duratura. Evidentemente, Sabrina ha bisogno (come del resto tutti/e) di avere una persona accanto, ma evidentemente tende ad idealizzarla sganciandosi dalla realtà, anche se la sua vocina interna la mette sempre in guardia. Giuditta ripropone con molta ironia la classica “coazione a ripetere”, come si definisce in psicologia, sindrome tanto cara alla “donna infermiera” che vorrebbe aggiustare e curare tutti, ma che la porta ad un “loop” di pensieri e dubbi ricorrenti che la affliggono di continuo e che la portano inevitabilmente a fare la scelta sbagliata.
Mentre Jessica impersona la nostra Sabrina in carne ed ossa, Giorgia rappresenta il suo alter ego o il suo ricordo sfocato, il suo irrisolto, insomma. Io definirei le due figure entità femminili ben distinte, due facce della stessa medaglia che tendono a sovrapporsi, a prevalere l’una sull’altra nella convinzione di essere dalla parte giusta, per salvaguardare la stabilità emotiva di Sabrina. Lo fanno in maniera molto divertente e, a mio avviso, anche molto intelligente, tanto da creare una confusione nello spettatore. Accavallandosi di continuo, infatti, si finisce per non capire più chi sia Sabrina e chi il suo alter ego. E questa scelta è a mio avviso vincente, perché destabilizza lo spettatore e gli fa vivere lo stesso disorientamento in cui si barcamena la donna, sottolineandone la precarietà emotiva. Giuditta inserisce in Sabrina svariate sfaccettature e personalità che si accapigliano tra loro, proprio per rimarcare questo eterno conflitto, e lo fa con gusto, in maniera leggera e molto spassosa. Volutamente, esagera ogni cosa come spesso vediamo accadere nella realtà dell’animo femminile; questo è il punto forte della commedia. Giuditta ha saputo cogliere questi simpatici difetti con la sua sensibilità femminile e ha voluto scherzarci sopra. Per farlo, porta in scena due attrici in antitesi tra loro: Jessica, molto aggraziata, con la sua vocina delicata, e Giorgia giunonica e dalla voce possente, ma spesso gli fa invertire efficacemente i ruoli. Questa trovata mi ha colpito molto, sia per l’idea della sceneggiatura sia perché le due artiste hanno saputo ben sottolinearla.
La parte maschile, anzi, le parti maschili, sono affidate all’ istrionico trasformista Marco Zordan, un attore dalle mille sfaccettature. Lui è come un baule senza fondo pieno di idee e risorse, dal quale estrae la sua materia artistica per creare e arricchire i suoi personaggi, che in questa commedia sono uno più divertente dell’altro. Movenze, atteggiamenti, espressioni, vocalità e dialetti: uno per ogni personaggio, all’insegna di una grande comicità. Pur essendo la donna fragile la parte centrale dello spettacolo, ad uscirne malconcio è proprio l’uomo che viene messo, anzi si mette da solo alla gogna ridicolizzato per i suoi atteggiamenti infantili ed immaturi. Insomma, uno spettacolo fondamentalmente comico ma allo stesso tempo profondo.
Geniale la scenografia, tutta fatta in cartone, con armadio, tavolo, divano… Forse un simbolo della precarietà, dell’instabilità o della semplicità della protagonista, chissà… Azzeccate le musiche, con le luci e il buio per i brevi cambi di scena; divertenti gli stacchetti in cui i personaggi rimangono congelati come statuine, e le voci fuori campo che esprimono i loro pensieri.
Commedia deliziosa.
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