Teatro Cometa Off
(In memoria di tutti i femminicidi)
Di e con Giulia Ricciardi
Regia di Patrizio Cigliano in collaborazione con Claudia Genolini.
Adoro Giulia e Patrizio, questa coppia di simpatici, vulcanici, prolifici artisti. Mi hanno tenuto molta compagnia con i loro eccezionali corti sul web durante la pandemia, poi li ho seguiti al teatro così come sullo schermo. Divertenti ed esuberanti, ho imparato ad amarli e apprezzarli per la profondità e maturità artistica.
Giulia è molto conosciuta, sia in teatro che sullo schermo, dove si presenta spesso in vesti comiche sia come attrice che come autrice (i vari episodi di “Stremate” sono dei capolavori di comicità ed interiorità).
Stavolta ritorna, dopo anni, in un ruolo drammatico. Nannarè è una prostituta piena di sfaccettature che si scoprono mentre racconta la sua storia.
Un monologo che l’artista aveva in mente già da quindici anni e che si sviluppa in un’ intensa ora e venti. Nonostante si discosti dalle precedenti proposte finora portate in scena, chi la conosce ci troverà tutta la sua essenza, passione e personalità.
Ha una lunga carriera alle spalle, maturata lavorando con registi del calibro di Giancarlo Sepe e Gigi Proietti ma anche esibendosi come cabarettista, da Zelig a Colorado, e come brillante autrice.
“Nannarè” è il suo ultimo traguardo; il titolo non può non riportare alla mente la grande Anna Magnani, che Giulia omaggia e ricorda, come fa dire anche al suo personaggio.
La protagonista, avanti con l’età, si svela a noi e tira le somme della sua vita professionale in maniera esplicita, senza fronzoli e pudori, con un approccio molto popolare nel linguaggio e negli atteggiamenti.
Romana fino all’osso, si racconta in gergo capitolino utilizzando anche dei divertenti strafalcioni tipici di una persona poco colta.
Ci parla della sua vita difficile, faticosa, pericolosa, e allo stesso tempo, inconsapevolmente, anche delle sue fragilità. Obbligata ad esercitare il lavoro più vecchio del mondo già da bambina, ha subito maltrattamenti e violenze.
Più si racconta, più ci imbarazza, ci tocca nell’intimo, ci commuove, riuscendo paradossalmente anche a farci sorridere, anche se amaramente, riuscendo a farsi amare dalla platea. Giulia, grazie alla sua recitazione e alla sua brillante sceneggiatura ci rende sempre più intimamente partecipi del dramma.
Tre sedie sono già visibili in sala alla nostra entrata; sono vecchie, scalcinate, scrostate come la vita che ci verrà narrata. Una di esse è visibilmente inclinata e instabile, come la donna con la sua precarietà.
Nannarella è impegnata in quello che sembra uno sfogo durante l’ennesimo tentativo di presentare una denuncia per maltrattamenti ad un poliziotto.
Ma tergiversa perché non è ancora capace di staccarsi dall’unica figura solida che le sta vicino, che tra una carezza e tante botte le dà stabilità. Lui è il suo compagno, o meglio il suo “protettore”.
Stavolta, forse dopo tanti vani tentativi, assistiamo finalmente all’epilogo delle sue sofferenze. Ha trovato, si spera, il coraggio per porre fine a tutti i maltrattamenti dell’uomo, che senza remore l’ha sempre percossa e costretta a vendere il suo corpo.
Ma lei ha una dipendenza affettiva, ha bisogno di lui, ne è un’ inconsapevole vittima e scambia quelle discutibili “attenzioni” per amore.
Così Giulia, attraverso Nannarè, denuncia la realtà di tante donne vittime del proprio uomo e purtroppo anche di sé stesse; donne fragili, incapaci di uscire da quel vortice che le porta sempre verso tristi epiloghi.
La sceneggiatura e la regia giocano proponendo delle scene che si susseguono tra loro spezzate da una sorta di flash che si ripete ogni qual volta la donna rimbalza con i suoi racconti tra il presente e il passato.
Si tratta di uno stacco sonoro che quando arriva, disturba visibilmente la donna, che pare coprirsi, proteggersi da quelli che sembrano scatti di una vecchia macchina fotografica con un rumoroso flash, seguiti da un respiro profondo ed intenso, accompagnato da quello che sembrerebbe uno scoppio, un botto, forse un colpo di un’arma da fuoco chissà…
lI tutto risulta molto suggestivo e scandisce bene quella breve pausa tra una scena e l’altra.
Con classe, tatto e profondità Giulia riesce ad ipnotizzarci, a rapirci e a portarci ad assaporare l’amaro di questa vita così vera.
Se si avvertono la bontà, la fierezza e la forza d’animo della donna, non sfuggono però la fragilità e la rassegnazione nel dover vivere in questo modo.
Nannarè procede sulla stessa strada ripercorrendo lo stesso sentiero della madre e della nonna, seguendo un destino predestinato, senza ribellarsi.
L’unica cosa che chiede è di poter essere amata; così si accontenta, creandosi un amore inesistente pur di essere felice o di provare ad esserlo.
Nonostante la grande esperienza maturata con gli uomini, ancora non ha capito cosa sia veramente l’amore o forse non credendo di meritarlo, ne accetta questa forma distorta.
Giulia è divina in questa rappresentazione. Commuove, diverte, fa riflettere e colpisce come un pugno allo stomaco.
I suoi racconti sono veri come quelli di tante sfortunate che stasera rappresenta. Il dolore che esprime è sempre smorzato dalla sua classica e riconoscibile ironia, ma il profondo retrogusto amaro rimane. È il suo modo di trasmettere questa storia cruda.
Mentre cerca di proteggere la protagonista dal suo ineluttabile destino, ce la fa amare donandole una grande dignità e una smisurata ingenuità, ci mostra il suo grande cuore e la sua paura di perdere l’amore perverso che la imprigiona.
Giulia è una grande attrice e stasera lo dimostra ancora una volta coinvolgendo il pubblico con i suoi occhi lucidi, mentre cerca di convincersi e convincerci di essere tutto sommato una donna fortunata.
Grande monologo, grande prova.
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