Teatro Marconi
“Una pura formalità”
Di Giuseppe Tornatore
Regia Roberto Belli
Compagnia Ass. Cult. Pex
Con Claudio Boccaccini, Paolo Perinelli, Andrea Meloni, Paolo Matteucci, Riccardo Frezza
scene: Eleonora Scarponi – disegno luci: Claudio Boccaccini
tecnico luci e fonica: Andrea Goracci – grafica: Giorgia Guarnieri
Un uomo bagnato ed infreddolito viene trovato senza documenti dalla polizia di notte, durante un terribile temporale, e portato in commissariato. Interrogato, dichiara di essere il celebre scrittore Onoff, ma il commissario, grande ammiratore dell’artista, senza la sua famosa barba non lo riconosce. Scettico sulla sua identità il delegato lo trattiene. Quella stessa notte è stato compiuto un omicidio e il reticente Onoff durante l’interrogatorio fa sorgere grossi sospetti. È impreciso, confuso, vago, sembra nascondersi dietro una sua apparente amnesia.
L’interrogatorio è anche una brillante trovata della sceneggiatura per far conoscere il protagonista e portare a galla, mediante mirabili dialoghi con il commissario, la sua vita e la sua essenza più intima.
Lo spettacolo.
Un rumore improvviso scuote la sala simile ad uno sparo, a ad un fulmine caduto vicino. Un uomo, Claudio Boccaccini nei panni di Onoff, appare in sala sfiorando la prima fila, sconvolto ed impaurito; manifesta visibilmente paura, panico, incertezza. Le sapienti luci lo immortalano come in fotogrammi, rendendo la scena ancora più drammatica e realistica.
Intanto, continua a cadere la pioggia.
All’improvviso appaiono due poliziotti in assetto militare, che insospettiti fermano l’uomo. Non ha con sé documenti, quindi viene tradotto in commissariato per l’accertamento dell’identità.
Il commissariato è ricostruito da una scenografia suggestiva; il tocco da maestro di Claudio Boccaccini si avverte subito: riesce sempre a dare al suo teatro quell’impronta cinematografica, ammaliante, sorprendente, riconoscibile per quanto è personale. Ogni volta che vedo un suo spettacolo sono sorpreso dalle idee e dalle trovate geniali. Stavolta è riuscito a portare la pioggia direttamente sul palcoscenico! Non so come abbia architettato questo effetto sorprendente, ma vi garantisco che il risultato è perfetto.
Nel fatiscente commissariato, dal tetto provengono copiose infiltrazioni d’acqua. Non è un effetto scenico, è davvero acqua che, scendendo da vari punti, rimbalza in secchi quasi pieni disseminati per la stanza, bagnando tutto intorno. Il suono piacevole crea un’ atmosfera malinconica, compagna inseparabile di tutto lo spettacolo.
Il commissariato è squallido, come lo sono i tutori dell’ordine che lo occupano. Da subito maltrattano l’uomo trattenuto fino all’arrivo del commissario. Sono poliziotti, guardiani, tre inquietanti personaggi; una sorta di trinità sospesa nel tempo, che presenzia molesta o silenziosa. Durante l’interrogatorio che subirà Onoff, se ne avvertono gli impercettibili movimenti, la fastidiosa presenza. I loro atteggiamenti variano a seconda dei comportamenti del sospettato. Spesso si ritrovano suggestivamente a ripetere la stessa frase uno, dietro l’altro, ritmicamente, come se fossero un’unica persona, un’ emanazione trina.
Due sono davvero inquietanti, burberi, seriosi, con sguardo severo; il terzo invece è un bonaccione introverso, balbuziente, quello che cerca di mitigare il comportamento degli altri attraverso il suo. Loro sono Andrea Meloni, Paolo Matteucci e Riccardo Frezza.
Arriva il commissario, un Paolo Perinelli in piena forma che ingaggia una sorta di duello verbale a suon di dialoghi complessi, incalzanti e profondamente teatrali. Una tenzone tra i due personaggi, ma anche a livello attoriale tra questi due grandi interpreti, con scambi continui e sempre più incalzanti che incollano alla poltrona lo spettatore per la loro intensità.
All’inizio la conversazione segue un normale iter fatto di domande precise ma di risposte vaghe; poi la situazione si trasforma, diviene ambigua, appesantita da un’ atmosfera sempre più opprimente che pervade la scena, trasformando tutto in qualcosa di assolutamente insolito, irreale, onirico, visionario.
I discorsi tra i due prendono una strana piega, mentre i tre gendarmi, che sembrano uniti da una sorta di cordone ombelicale, paiono sempre più entità asservite alla figura di questo insolito commissario che pian piano sembra diventare qualcosa di misteriosamente superiore. Forse è sempre stato così, siamo noi che non ce ne siamo resi conto; una sorta di entità superiore, un Caronte, un San Pietro, l’Angelo Samael, uno smistatore di anime perdute a capo di una sorta di purgatorio o di limbo dantesco di transito, chissà…
Questa è la strana impressione che pervade lo spettatore mentre viene rapito e confuso dagli eventi, sballottato e strattonato da situazioni in continua caduta nel paradossale. Una storia che appassiona perché sempre più ingarbugliata, perché scompagina ruoli e situazioni.
Un sogno? Un incubo? La materializzazione di un nuovo romanzo dello scrittore che si trasforma in una fantasia reale e perversa che lo imprigiona in una rete che lui stesso ha tessuto ed in cui si è intrappolato? Il commissario lo incalza; quell’omicidio che c’è stato sembra aver sporcato le mani di quest’uomo che mentre si cambia gli abiti bagnati, gentilmente forniti dai suoi carcerieri, scopre perplesso che sono imbrattati di sangue…
Il cambio dei vestiti è già un passaggio, una metamorfosi, l’inizio di un percorso che lo avvicina alla sua nuova condizione, alla verità. Quei vestiti abbandonati e fradici sono le spoglie della sua vecchia identità, come un serpente che cambia pelle. Si trova così a vestirne una nuova, che lo avvicina ai suoi nuovi compagni di strada che lo hanno catturato ed uniformato, preparato.
La colonna sonora che ci accompagna nello spettacolo, oltre al delicato suono della pioggia, è fatta di musiche intense che sottolineano magistralmente i passaggi più drammatici e quelli con maggior tensione, accrescendo l’ansia dello spettatore. Spettatore che rimane in balia di quelle pause che paiono interminabili con cui Claudio e Paolo giocano ai burattinai, tirando i fili per solleticare la nostra emotività. Un incedere costante fino all’epilogo, quando finalmente realizzeremo quanto sta per accadere, con un finale sorprendente che lascia ammutoliti e stupiti.
Due mostri sacri del teatro, insieme sul palco. Ammaliano, imbrigliano, affascinano, rapiscono e stupiscono. La loro bravura è indiscussa. Tornatore dovrebbe vederli, ne rimarrebbe estasiato. I guardiani, i ragazzi che rimangono intorno ai due protagonisti, come a chiudere permanente la scena per impedire che si rompa quell’ atmosfera cupa e opprimente, sono inquietanti e fondamentali. Sapientemente illuminati, i loro visi appaiono attraverso un gioco di luci che utilizzando un chiaroscuro ansiogeno, ne trasmette la loro impermeabilità e distanza.
Si viene avvolti da questa misteriosa storia sublimata dagli egregi interpreti in grado di fare teatro con la “T” maiuscola. Espressività, toni della voce, movimenti plateali e gestualità impercettibili, pause, ammiccamenti o perplessità accentuati da manifestazioni emotive forti e chiare o flebili e appena accennate, che creano sul palco una situazione magica.
Lo spettatore in platea può solo ritenersi fortunato di poter godere di uno spettacolo così ben fatto e deliziarsi di una recitazione semplicemente sublime.
Scrivi a: redazione@viviroma.tv