La Dama Bianca e il Museo del Crimine di Roma

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Esiste, o meglio esisterebbe a Roma ubicato nel Palazzo del Gonfalone a via Giulia a Roma il Mucri, o Museo del Crimine che da quando aprì nel 1931 ad oggi, ha ricevuto apprezzamenti ed encomi a livello internazionale.

Raccoglie al suo interno strumenti che hanno caratterizzato il mondo della criminalità messi a disposizione dei visitatori e di studiosi del settore.

La visita era suddivisa in settori che raccoglievano i vari tipi di crimini presentati; il metodo di ricerca delle prove indiziarie, utili per avviare le indagini; ed infine un settore che trattava l’esecuzione penale, sia vista dal punto di vista dello Stato che da quello dei condannati.

Tra le varie aperture e chiusure che si sono susseguite dal 1931 al 2016, oggi il museo risulta ufficialmente e definitivamente chiuso.

Nel percorso espositivo si partiva dall’esercizio della giustizia nell’antichità, per passare poi attraverso un’ ampia documentazione sugli studi sul crimine di Cesare Lombroso, medico, antropologo, filosofo, giurista e criminologo italiano, da taluni studiosi definito come padre della moderna criminologia, che cercò di dimostrare come attraverso determinate caratteristiche anatomiche, si potesse individuare la propensione di un soggetto al crimine.

L’ultima parte riguarda quella dei crimini moderni, e tratta lo spionaggio, la falsificazione, i furti con scasso e alcuni fatti particolarmente cruenti avvenuti negli ultimi decenni.

Tra i pezzi esposti ci sono vari strumenti di tortura, la pistola usata per l’assassinio di Umberto I, il mantello rosso indossato da Mastro Titta e, molto particolare, lo scheletro della Dama Bianca di Poggio Catino.

Nei primo trentennio del ‘900, un corpo femminile venne rinvenuto dopo il crollo di una torre nel castello della cittadina medievale. Era stata legata mani e piedi con dei ferri contenitivi per la detenzione, murata viva e poi lasciata morire d’inedia.

In una stanza attigua sarebbe stato rinvenuto un altro scheletro, questo era di una guardia del presidio, poi polverizzatosi a contatto con l’aria. Un’altra versione lo vuole traslato e sepolto in segreto nel cimitero comunale; anche se di questa sepoltura non si è mai trovata traccia, né qualche documento d’archivio che ne attestasse la presenza.

Un mistero che ha suggestionato gli abitanti, dando vita ad una serie di visioni notturne del fantasma della Dama, accompagnate da rumori di catene trascinate sui pavimenti di ciò che resta del castello e di raccapriccianti lamenti che sarebbero la conseguenza di una mancata degna sepoltura della povera donna.

Ma chi è la Dama Bianca ritrovata a Poggio Catino e poi ancora oggi conservata nel Museo di Roma?

Lo scheletro apparterrebbe almeno secondo i documenti compilati dopo il rinvenimento, ad una donna di circa trenta/quarant’ anni vissuta tra il XV e il XVI secolo.

dama biancaSecondo la leggenda sarebbe stata la compagna di Geppo Colonna, proprietario del castello, che scoperto il tradimento della donna con un castellano l’avrebbe segregata in una cella, murata viva e fatta morire di inedia. Un’ altra leggenda meno apprezzata, vede la donna essere una vittima della faida tra gli Orsini e i Colonna.

Di fatto la leggenda sarebbe però frutto di “iperstizione”, ovvero: “una profezia autoavveratasi a causa di una diffusione massiva”.

Dapprima alimentata dalle superstizioni del popolo, poi fomentata dagli articoli giornalistici e da libri che hanno fatto perno sulla credulità popolare, la superstizione e le emotività provocata da un terribile sopruso compiuto su una donna giovane e definita particolarmente bella, anche se non vi sono testimonianze o prove del suo aspetto fisico.

La leggenda nacque nel Ventennio fascista, più esattamente nel 1933, quando l’ultimo proprietario del luogo, Sergio Biraghi, all’epoca un bambino di dieci anni, ricorda di essere giunto al castello dove era appena avvenuto un crollo di un torrione.

Sotto le macerie venne trovato uno scheletro con caviglie e polsi bloccati da ferri di contenimento, seduto su un ceppo in pietra e appoggiato al muro. Vicino aveva una brocca scheggiata ed una lampada ad olio. Lascia perplessi che la calce delle mura e l’isolamento anaerobico non abbia restituito un corpo in condizioni conservative migliori.

dama biancaInoltre i ferri sembrano troppo grandi per poter imprigionare i polsi della donna. Per altro quelli ritrovati sul corpo venivano utilizzati espressamente per le caviglie.

Inoltre le ossa non presentano un annerimento nei punti di contatto con i ferri e anche questa cosa lascia perplessi. Risultati poi che alcuni studiosi facciano risalire quei ferri tra il XVI e più verosimilmente verso il XVIII secolo, ma sono chiaramente stati dipinti di nero e dunque non presentano il naturale colore del ferro che dovrebbero avere, mancano poi delle serrature…

Lo scheletro purtroppo non ha potuto subire una datazione con il metodo della datazione con il carbonio 14.

Un sopralluogo risalente al 2018 di specialisti come il noto criminologo Marco Strano e l’avvocato ed esperto in indagini Simone De Fraja non ha avuto il permesso né di fotografare, né di aprire la teca dove era conservato lo scheletro per meglio esaminarlo.

Attraverso vecchie fotografie d’archivio o pubblicate sui quotidiani (se ne trovano anche sul web), si è constatato che il corpo, a dispetto di quanto riportato sulla documentazione del museo, non sarebbe stato riposizionato nell’ esatta posizione del rinvenimento.

Per altro la posizione in cui si trova non permette di esaminare la forma del bacino, fondamentale per stabilire il sesso.

Un accurato esame delle foto del teschio invece, ha dato risposte più concrete: l’arcata sopraccigliare è molto robusta e marcata, il processo zigomatico è poderoso e anche questo spesso, il processo mastoideo è molto grande e pronunciato, la mandibola è robusta e l’angolo mandibolare particolarmente marcato.

Tutte caratteristiche tipiche di un teschio maschile.

Fu forse la necessità di trovare oggetti utili per il museo, che avrebbe spinto il proprietario del castello Umberto Biraghi, nonché medico dell’epoca e personaggio molto vicino ai vertici del regime, al recupero di uno scheletro della zona per utilizzarlo per questo allestimento, che oggi potremmo vedere se potessimo accedere nel Museo del Crimine.

Dunque lo scheletro ritrovato e su cui è stata montata questa leggenda sarebbe di un uomo. Inoltre non si ha conferma che lo scheletro possa essere del XV secolo;

la cella presente nel museo non è stata assemblata con i pezzi originali come in principio riportato, bensì con una ricostruzione in cartongesso; i ceppi che trattengono polsi e caviglie risalirebbero al XIX secolo;

il luogo in cui sarebbe avvenuto il crollo non ha mai ospitato un torrione; nel cimitero non è stata trovata traccia di una tomba che conterrebbe il secondo scheletro, ovvero quello del fantomatico armigero, che così ha dato vita alla leggenda della sua polverizzazione.

È assurdo poi pensare che dopo un crollo uno scheletro possa essere ritrovato integro sotto le macerie come quello ritrovato, e che non presenti poi un normale deterioramento del tessuto osseo causato dall’esposizione all’aria, non essendo stato chiuso in un sarcofago o in un contenitore ermetico.

Tra gli studiosi che si sono cimentati nelle ricerche troviamo Marco Strano noto psicologo e criminologo, uno dei massimi esperti italiani nel settore del crimine, particolarmente stimato anche all’estero, autore di 22 libri sulla criminologia e più di 100 articoli scientifici dedicati alla psicologia e alla criminologia.

L’altro studioso è Simone De Fraja avvocato penalista, saggista e studioso di fortificazioni medievali e di scienza dell’investigazione, anche lui autore di svariati libri.

Bibliografia: la Dama Bianca di Poggio Catino. Storia di un femminicidio mai avvenuto?

Di Marco strano e Simone De Fraja Phasar Edizioni Firenze 2021

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